21.08.2008 – Edilizia ed urbanistica – Condono edilizio – Ex d.l. n. 269 del 2003
TRIBUNALE DI NAPOLI, SEZIONE DISTACCATA DI ISCHIA – ordinanza 21 agosto 2008 (r.g. esec. numeri 26/08 ed altri) – G.U. Di Salvo.
1. Edilizia ed urbanistica – Condono edilizio – Ex d.l. n. 269 del 2003 – Costruzioni abusive realizzate in area assoggettate a vincolo – Non sono sanabili secondo il diritto vivente.
2. Edilizia ed urbanistica – Condono edilizio – Ex d.l. n. 269 del 2003 – Interpretazione restrittiva per le aree assoggettate a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (art. 32, comma 26, d.l. n. 269 del 2003) – Questione di legittimità costituzionale – Per violazione degli artt. 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione – Va sollevata.
1-2. Va sollevata questione di legittimità costituzionale del comma 26, lettera a), dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, per contrasto con gli articoli 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede, secondo il diritto vivente, che nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito indicate ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Condono “Berlusconi”
La Corte costituzionale chiamata a sciogliere il nodo delle aree vincolate
SOMMARIO: 1. L’ordinanza di rimessione. 2. La rilevanza della questione di legittimità costituzionale in relazione alla dubbia possibilità di sospendere ordini giudiziali di demolizione per nuove costruzioni in aree vincolate, oggetto di domanda di condono ex d.l. n. 269 del 2003, stante la rigida interpretazione della normativa in materia ad opera del diritto vivente, secondo cui, in tali aree, è possibile ottenere la sanatoria solo per gli interventi edilizi “minori”. 3. La non manifesta infondatezza della questione sollevata in quanto l’ermeneusi restrittiva del condono ter investe il principio di ragionevolezza, confonde gli effetti penali ed amministrativi della sanatoria ed ignora il contrario orientamento della corte costituzionale (sentenze n. 196 del 2004 e n. 49 del 2006). 4. L’infelice formulazione del comma 26. 5. Le incongruenze della sentenza “Battinelli” sulla insanabilità “tipizzata” (Cass., Sez. III, n. 10202 del 23.3.2006) rispetto alla sentenza “Mazzola” (Cass., Sez. III, n. 10512 del 20.11.1997) sui presupposti della estinzione, per oblazione speciale, dei reati urbanistici ed edilizi. 6. Considerazioni finali.
1. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE. Con l’ordinanza che si annota, il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi su 140 ricorsi per incidente di esecuzione, tutti riuniti per connessione e finalizzati alla revoca dell’ordine giudiziale di demolizione di altrettanti immobili realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed oggetto di istanze di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della suindicata disposizione, in particolare del comma 26, per contrasto con gli artt. 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede, secondo il diritto vivente, che nelle aree sottoposte a vincolo ex art. 32 della legge n. 47 del 1985 è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi minori (corrispondenti alle tipologie di illecito indicate ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.
2. LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE IN RELAZIONE ALLA DUBBIA POSSIBILITA’ DI SOSPENDERE ORDINI GIUDIZIALI DI DEMOLIZIONE PER NUOVE COSTRUZIONI IN AREE VINCOLATE, OGGETTO DI DOMANDA DI CONDONO EX D.L. N. 269 DEL 2003, STANTE LA RIGIDA INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA AD OPERA DEL DIRITTO VIVENTE, SECONDO CUI, IN TALI AREE, E’ POSSIBILE OTTENERE LA SANATORIA SOLO PER GLI INTERVENTI EDILIZI “MINORI”. Il Tribunale ha ritenuto la questione rilevante, ai fini del decidere, dopo che il Pubblico Ministero aveva espressamente richiamato, a conferma della insanabilità delle opere da demolire, la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 6431 del 15 febbraio 2007. Tale sentenza, sia pure con argomentazioni differenti, si inserisce nel solco già tracciato da altre decisioni della medesima Corte di Cassazione contrarie alla sanatoria delle nuove costruzioni in zona vincolata ( si vedano, fra le tante, Cass., Sez. III, 1.10.2004, n. 38694; Cass., Sez. III, 24.9.2004, n. 37865; Cass., Sez. III, 21.12.2004, n. 48954; Cass., Sez. III, 21.12.2004, n. 48956; Cass., Sez. III, 12.1.2005, n. 216). “Si è dunque in presenza di un diritto vivente, ovvero di una sufficiente certezza sul significato della disposizione considerata – si legge nella motivazione dell’ordinanza – dalla quale il Tribunale non potrebbe agevolmente discostarsi. Facendo, quindi, applicazione del suesposto principio di diritto affermato dal diritto vivente, questo Tribunale dovrebbe rigettare tutti gli incidenti di esecuzione in esame, non potendo revocare i relativi ordini di demolizione, aventi ad oggetto, appunto, nuove costruzioni in zona assoggettata a vincolo paesistico, per le quali, nonostante la pendenza di 140 procedure di cd. <>, tutte corredate del rispettivo <> espresso dalle competenti amministrazioni comunali, relativamente agli oneri versati dai ricorrenti, non sarebbe in nessun caso possibile ottenere la sanatoria, ostandovi il disposto dell’art. 32, comma 26, lett. a), del D.L. n. 269 del 2003. A tale conclusione questo Tribunale sarebbe costretto a pervenire sebbene la Corte Costituzionale, con sentenza n. 70 del 12 marzo 2008, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 36, del D.L. n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede che gli effetti di cui all’articolo 38, comma 2, della legge n. 47 del 1985 si producono anche allorchè, anteriormente al decorso dei 36 mesi dal pagamento della oblazione, sia intervenuta l’attestazione di congruità da parte dell’autorità comunale, come verificatosi in tutte le 140 fattispecie in esame.”
3. LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE SOLLEVATA IN QUANTO L’ERMENEUSI RESTRITTIVA DEL CONDONO TER INVESTE IL PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA, CONFONDE GLI EFFETTI PENALI ED AMMINISTRATIVI DELLA SANATORIA ED IGNORA IL CONTRARIO ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE (SENTENZE N. 196 DEL 2004 E N. 49 DEL 2006). Nel motivare anche in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale ha, tuttavia, ritenuto che la rigida interpretazione, in malam partem, dell’art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003 fornita dal diritto vivente sia in contrasto innanzitutto con l’art. 3 della Costituzione, investendo il principio di ragionevolezza e finendo con lo snaturare la stessa volontà del legislatore, sul versante degli effetti penali della sanatoria nelle aree assoggettate a vincolo paesistico. Infatti, il legislatore non avrebbe avuto necessità di predisporre un così complesso procedimento per l’acquizione del parere paesistico, ove la sua intenzione fosse stata effettivamente quella – come affermato dal diritto vivente – di escludere sempre, in ogni caso, la possibilità di sanatoria per le opere di cui alle tipologie 1, 2 e 3 nelle zone assoggettate a vincolo. Tale articolato corpus normativo, in aderenza al principio di non aggravamento dei procedimenti amministrativi, non era di certo richiesto per sanare le sole tipologie 4, 5 e 6, cui, peraltro, la vigente legislazione già ricollega un’autonoma possibilità di legittimazione, sia ex ante (art. 149 d.lgs. n. 42/04) sia ex post, attraverso il c.d. <> previsto dall’art. 167 del d.lgs n. 42/04, relativamente alle opere di natura manutentiva, nonché a quelle che non abbiano, in concreto, determinato incrementi planovolumetrici. Sul punto è stato sollevato in dottrina un duplice interrogativo. Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l’obbligo della acquisizione del preventivo parere per colui che non abbia incrementato in alcun modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se ciò è esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato incrementi sia di altezza che di volumetria, ancorchè contenuta nel limite del 2%. Il secondo, che risulta molto più rilevante, riguarda la circostanza di come possa conciliarsi una disposizione che prevede che siano ammessi a condono edilizio abusi che abbiano comportato innovazioni planovolumetriche nelle zone assoggettate a vincolo, con esclusione perfino dell’obbligo del parere paesaggistico, con l’affermazione secondo cui l’intero contesto normativo escluderebbe l’applicabilità del condono agli abusi riconducibili alle tipologie 1, 2 e 3 ed eseguiti nelle zone assoggettate a vincolo paesistico. Secondo il Tribunale, l’incoerenza logica della tesi sostenuta dal diritto vivente è dimostrata, a ben vedere, dai precedenti insegnamenti della stessa Corte Suprema di Cassazione, anche a Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, Cass. SS.UU. n. 22 del 1999), che aveva escluso la possibilità di porre sullo stesso piano gli effetti penali ed amministrativi del condono. Peraltro, con la sentenza n. 196 del 2004 la Corte Costituzionale aveva avvertito l’esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono “si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta, il che è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, con una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni”. Sempre in tale pronuncia, la Corte Costituzionale aveva rimarcato con maggior vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra effetti amministrativi ed effetti penali della sanatoria, chiarendo, altresì, come permanga anche con il nuovo condono edilizio la caratteristica fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in quanto l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37, del d.l. n. 269 del 2003). Peraltro, ciò non escluderebbe che, pagata interamente l’oblazione, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile – come gli artt. 38 e 44 – in virtù del richiamo operato dal comma 25 dell’art. 32 cit. agli interi capi IV e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all’oblazione versata le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro. In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la speciale causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) può essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo. A tali fini, persino il diniego di sanatoria della P.A. rappresenta un elemento neutro e del tutto inidoneo a determinare l’esclusione della operatività della causa estintiva, ricollegata al solo pagamento dell’oblazione in misura congrua secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985. Del resto, sempre sul versante amministrativo, il diritto vivente non spiega perché nelle aree vincolate maggiormente sensibili, come quelle demaniali, sulle quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art.32, comma 17) si sia accontentato di subordinare la disponibilità alla cessione dell’area al solo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perché rimuovibile ad opera della competente autorità, e non assoluto). Né appare di rilievo la circostanza addotta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 6431/2007, per la quale “tale disposizione, riferita alle opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, è significativamente limitata dall’esclusione (posta dal precedente comma 14) del demanio marittimo lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege), dovendosi tener conto “dell’ampia nozione di vincolo” che l’art. 32 della legge n. 47/1985 presuppone. Anche qui la norma – nel prevedere una fattispecie di sanatoria a condizione – è sufficientemente chiara e non può essere manipolata con interpretazioni additive in malam partem. Non spiega, infatti, il diritto vivente perché il controverso comma 26 arrivi a ritagliare un’eccezione all’ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria per i soli abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale, omettendo di menzionarne altri. La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte) le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985. La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere nuove senza titolo edilizio o in difformità, in contrasto con gli strumenti urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo o in difformità dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico – artistico ai quali si riferisce il comma 27, lettera e). Nel rispetto del canone di ragionevolezza, il legislatore non avrebbe avuto alcuna necessità – ove la disposizione del comma 26 fosse effettivamente da interpretare, come ritenuto dal diritto vivente, nel senso che nelle aree vincolate sono sanabili solo gli interventi edilizi minori – di collegare agli abusi maggiori le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento nazionale, per giunta vincolati in individuo. E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985. Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in effetti è avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata dimostrazione della conformità delle opere alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l’insanabilità delle opere per le quali è stato richiesto il beneficio del condono. Di tali perplessità si è fatta carico indirettamente anche la Corte Costituzionale nella sentenza n.49 del 2006, sempre in materia di condono ter, la quale sembra rafforzare – sul piano interpretativo – la tesi secondo cui l’unico parametro normativo da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo è rappresentato non già dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003. La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26, ma, anzi, finisce per offrire una lettura più ampia dello stesso comma 27, lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di inedificabilità assoluta e non anche quelli di inedificabilità relativa possono essere considerati ostativi alla sanabilità. In altri termini, secondo il Tribunale, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, le opere abusive potranno essere sanate, secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi, laddove si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella formulazione introdotta dal comma 43 del decreto – legge n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la Soprintendenza territorialmente competente, il cui parere è vincolante). A tale conclusione osta, tuttavia, il difforme indirizzo del Giudice di legittimità. Da tanto consegue che <>.
4. L’INFELICE FORMULAZIONE DEL COMMA 26. L’ordinanza del Tribunale, sorretta da lucida trama argomentativa, ha il merito di sottoporre all’esame della Consulta un tema fra i più complessi, quale è, appunto, quello dei rapporti tra effetti penali ed effetti amministrativi derivanti da ogni sanatoria straordinaria, tema la cui difficoltà si è accentuata ancor di più con l’ultimo condono edilizio, introdotto con un decreto legge “omnibus” che ha risentito fortemente anche dell’incidenza del rapporto conflittuale tra Stato e Regioni. Si è sostenuto, in proposito, che l’infelice formulazione del comma 26 dell’art. 32 fa a pugni, in primo luogo, con l’italiano. Anzi, a voler essere pignoli, la disposizione in esame, se presa alla lettera, significherebbe esattamente il contrario, e cioè che è condonabile tutto (tutte le tipologie di abuso) nell’intero territorio nazionale, nonchè le tipologie di abuso minori (i numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1) nelle (sole !) aree vincolate. Ma questa lettura porta a un significato chiaramente inutile e illogico. Se però fosse vera l’interpretazione logica data dalla Cassazione penale non si spiegherebbe la precisazione, contenuta nella norma, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo. Il comma 27, lettera e), infatti, stabilisce che non sono comunque suscettibili di sanatoria le opere abusive realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del testo unico sui beni culturali del 1999. E poiché tra i vincoli contemplati dall’articolo 32 della legge n. 47 del 1985 vi è sicuramente anche il vincolo storico-artistico della legge n. 1089 del 1939 (Titolo I del testo unico di cui al d.lgs. n. 490 del 1999) emerge evidente la contraddizione tra una regola generale (esclusione delle tipologie di abuso maggiori nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e l’eccezione, di cui all’inciso in questione, che del tutto inutilmente escluderebbe dal condono gli abusi maggiori commessi su determinati beni vincolati (quelli storico-artistici e archeologici) già esclusi in forza della regola generale. Salvo a non voler sottilizzare, ascrivendo alla locuzione nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo adoperata dalla disposizione il senso di essere riferita alle sole aree (paesaggistiche o naturalistiche, o rilevanti sotto il profilo idrogeologico) e non anche agli immobili in senso stretto (nel senso della dicotomia aree ed immobili introdotta dal codice dei beni culturali e del paesaggio, articolo 134, dove per immobili si fa riferimento alle tipologie di cui ai numeri 1 e 2 dell’articolo 1 della legge n. 1497 del 1939, cioè alle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica e alle ville, ai giardini e ai parchi, intendendosi designare con il termine immobili determinati beni giuridicamente e catastalmente – tendenzialmente – unitari).
5. LE INCONGRUENZE DELLA SENTENZA “BATTINELLI” SULLA INSANABILITA’ “TIPIZZATA” (CASS., SEZ. III, N. 10202 DEL 23.3.2006) RISPETTO ALLA SENTENZA “MAZZOLA” (CASS., SEZ. III, N. 10512 DEL 20.11.1997) SUI PRESUPPOSTI DELLA ESTINZIONE, PER OBLAZIONE SPECIALE, DEI REATI URBANISTICI ED EDILIZI. Consapevole delle incertezze generate dalla ermeneusi restrittiva del comma 26, la Cassazione penale, con sentenza della Sezione III n.10202 del 23.3.2006, ha, per un verso, ribadito che: “Secondo la giurisprudenza di questa sezione, il D.L. 30.9.2003 n. 269, convertito in legge 24.11.2003 n. 326, in relazione alle opere realizzate senza titolo abilitativo su immobili soggetti a vincolo: 1) ai sensi dell’art. 32, comma 26, lett. a), consente la sanatoria solo delle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (tipologie 4, 5 e 6 dell’Allegato 1); per conseguenza, non prevede la sanatoria delle altre opere, conformi o non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (tipolgie 1, 2 e 3 dell’Allegato 1); 2) ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), non consente la sanatoria neppure delle opere di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria, quando si tratti di immobili soggetti a vincoli imposti, prima della realizzazione delle opere, da leggi statali o regionali a tutela di interessi idrogeologici, di interessi ambientali o paesaggistici, nonché di parchi e aree protette; 3) ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. e), non consente la sanatoria neppure delle opere di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria, quando siano realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o di interesse particolarmente rilevante>>. Per altro verso, la Corte ha inteso precisare che: <>. Tale conclusione, in disparte ogni altro rilievo, è, però, smentita dalla stessa sentenza “Mazzola” (n. 10512 del 1997) invocata dall’estensore, nella quale si sottolinea, fra l’altro, che anche i vincoli di inedificabilità assoluta ex art. 33 della legge n. 47/85 non precludono la declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell’art. 39 della legge n. 47/85. Infatti, con tale pronuncia, la Corte, in ordine alla argomentazione secondo cui la estinzione del reato urbanistico prevista nel capo IV della legge n. 47 del 1985 presuppone un atto amministrativo (la concessione in sanatoria rilasciata dal Comune), aveva espressamente ritenuto che: “Tale argomentazione ignora la distinzione tra il profilo amministrativo e quello penale del cosiddetto condono edilizio, quale risulta evidente dalla interpretazione sistematica della disciplina contenuta nel capo IV della legge 28.2.1985 n. 47, e in particolare dalla interpretazione letterale e logica dell’art. 39 della stessa legge (…), secondo cui, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, l’effettuazione della oblazione estingue i reati contravvenzionali indicati nell’art. 38. Se ne deve concludere che quando la domanda di sanatoria non può essere accolta, l’abuso amministrativo resta, ma l’illecito penale viene estinto ove l’imputato abbia versato l’intero importo dell’oblazione, congruamente e fedelmente determinato. Da questo articolato sistema normativo l’estinzione dei reati urbanistici ed edilizi non presuppone necessariamente la formazione di un atto amministrativo di sanatoria, né espresso, né tacito. Presuppone soltanto una regolare domanda di sanatoria e il versamento completo dell’oblazione da parte dell’imputato ovvero da parte di un comproprietario dell’immobile abusivo, ai sensi dell’art. 38 legge 47-1985). 5 – Ulteriore conseguenza che ne deriva è che il giudice penale, per dichiarare l’estinzione dei reati, deve verificare solo i presupposti legali dell’oblazione speciale come sopra disciplinata; mentre spetta alla autorità comunale competente accertare tutte le condizioni stabilite dalla legge per la concessione in sanatoria. Più in particolare spetta al giudice penale verificare i presupposti temporali, personali e oggettivi della disciplina sulla oblazione speciale, cioè a) la tempestività della domanda; b) la riferibilità della domanda agli imputati o ai comproprietari dell’immobile abusivo ex art. 38 legge 47-1985; c) la riferibilità della domanda all’immobile abusivo contestato nel capo di imputazione; d) – la ultimazione dei lavori entro il termine di legge; infine per il condono disciplinato da ultimo con l’art. 39 della legge 724-1994, e) i requisiti volumetrici dell’immobile costruito. Il giudice penale deve anche verificare f) la congruità quantitativa dell’oblazione versata: solo che in questo caso, se può accertare direttamente l’entità delle somme versate, attraverso le (copie delle) ricevute di versamento, non può direttamente verificare la congruità delle stesse rispetto ai parametri previsti, giacchè molti di questi sono conosciuti solo dall’autorità comunale (basti pensare ad esempio all’esistenza di convenzioni stipulate con il comune per la applicazione di prezzi di vendita o di canoni di locazione determinati, che costituisce titolo per la riduzione dell’oblazione al 50%; ovvero alla utilizzazione dell’edificio abusivo come prima abitazione del richiedente, che è titolo per la riduzione di un terzo: commi terzo e quarto dell’art. 34 legge 47-1985) e giacchè – coerentemente – la legge attribuisce al sindaco il compito di determinare in via definitiva l’importo dell’obalzione (comma 15 dell’art. 35 legge 47-1985). Quest’ultima verifica, quindi, è compiuta dal giudice penale solo indirettamente, attraverso l’acquisizione del certificato di congruità rilasciato dal sindaco competente. Deriva infine dal sistema normativo come sopra riassunto che il giudice penale, per dichiarare la estinzione dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare l’inesistenza di cause ostative alla sanatoria amministrativa, appunto per il disposto dell’art. 39 legge 47-1985, che dispone la estinzione dei reati contravvenzionali (anche) quando le opere abusive non possono essere sanate. In particolare, non rileva ai fini penali la insanabilità assoluta di opere soggette a vincoli determinati, di cui all’art. 33 legge 47-1985, come modificato dal ventesimo comma dell’art. 39 legge 724-1994; così come non rileva la sanabilità condizionata delle opere costruite in aree vincolate, di cui all’art. 32 legge 47-1985, che è subordinata al parere favorevole delle amministrazioni preposte al vincolo. Quanto alla insanabilità delle opere per cui è stata presentata domanda dolosamente infedele, di cui all’art. 40, primo comma, legge 47-1985, il rilievo penale deriva solo dal fatto che la infedeltà della domanda può influire sulla congruità della oblazione. In altri termini, il giudice penale, al fine di dichiarare la estinzione per oblazione speciale dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare né l’inesistenza di una causa di insanabilità assoluta di cui all’art. 33 legge 47-1985, né l’inesistenza di una causa di insanabilità relativa di cui all’art. 32 della stessa legge. Infine, non deve neppure accertare che la domanda di sanatoria non sia dolosamente infedele, giacchè questo accertamento è implicitamente contenuto nella certificazione che il sindaco rilascia circa la congruità della oblazione versata”.
6. CONSIDERAZIONI FINALI. Alla Corte Costituzionale il compito di sciogliere il nodo, giacchè, come evidenziato dal Tribunale di Napoli, il rigido indirizzo della Corte Suprema ratifica una vera e propria antinomia interpretativa degli effetti del condono sul versante penale ed amministrativo rispetto all’univoco orientamento del Giudice delle leggi. Di tale problematica, sia pure sotto diversa angolazione, si è fatta carico di recente anche la Regione Marche che, con legge di interpretazione autentica del 27 maggio 2008, n.11, ha stabilito che «la lettera a) del comma 1 dell’art. 2 della legge regionale n. 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi), deve essere interpretata nel senso che i vincoli di cui all’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attivita’ urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) ed all’art. 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) impediscono la sanatoria delle opere abusive solo qualora comportino inedificabilita’ assoluta e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere». Ma tale legge è stata prontamente avversata dalla Avvocatura dello Stato, nell’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha proposto ricorso alla Corte Costituzionale sul rilievo che la legge “tende ad attribuire una portata limitata alle previsioni dell’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003 ed a rendere inapplicabili, nel territorio della regione, disposizioni che, limitando consapevolmente la possibilita’ di condono nelle aree vincolate, incidono sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici, vale a dire su materia riservata alla potesta’ esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione e nel cui ambito si sogliono inscrivere i vincoli di inedificabilita’ diversi da quelli «assoluti» (questi ultimi essendo in genere riferiti, secondo una distinzione dalla portata applicativa peraltro dubbia e controversa, ad interessi propri della materia urbanistica). E’ pertanto evidente, oltre la violazione di norme statali di principio, l’invasione della sfera di potesta’ legislativa esclusiva statale”. L’Avvocatura erariale ha rilevato, al riguardo, che la situazione, benche’ apparentemente analoga, “è ben diversa da quella sulla quale la Corte si e’ pronunciata con sentenza n. 49 del 2006. In tale circostanza, la Corte si e’, tra l’altro, occupata dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, secondo il quale «nelle aree soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonche’ dei beni ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora il vincolo comporti inedificabilita’ assoluta e sia stato imposto prima dell’esecuzione delle opere» (enfasi aggiunta). Come si evince dalla lettura della sentenza, secondo la difesa della Regione Lombardia la norma voleva limitarsi a «ribadire e consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto previsto dalla legislazione statale». Questa lettura e’ stata accolta dalla Corte, che ha chiarito che la disposizione «si limita, effettivamente, a recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003». In buona sostanza, la legge regionale lombarda si risolveva in una, forse inutile, ripetizione della previsione statale, secondo la quale l’esistenza di un vincolo di inedificabilita’ assoluta esclude certamente il condono, ma l’assenza di un vincolo di questo tipo non e’ condizione sufficiente per affermare il diritto alla sanatoria. Per questo motivo la legge della Regione Lombardia e’ stata giudicata non incostituzionale, peraltro con il risultato utile, proprio dell’interpretazione adeguatrice, di avere escluso per cio’ stesso l’ammissibilita’ di altre e fuorvianti interpretazioni ampliative della norma. Una simile conclusione non sembra pero’ percorribile nel caso della legge regionale delle Marche qui impugnata, in quanto l’utilizzo dell’avverbio «solo», riferito ai vincoli di inedificabilita’ assoluta (in luogo dell’avverbio «comunque» usato dalla legge lombarda), attribuisce alla norma l’inequivoco significato di ammettere il condono in tutti gli altri casi, cioe’ in tutti i casi in cui non si versi nell’ipotesi dell’assoluta inedificabilita’ ex art. 33 della legge n. 47 del 1985 (il che non e’ quanto afferma la normativa statale, secondo l’interpretazione fornita della prevalente giurisprudenza, penale e amministrativa)”. L’auspicio di chi scrive è che almeno la Corte Costituzionale faccia chiarezza, una volta per tutte, sulla sorte del terzo condono nelle aree vincolate, vera e propria “babele delle lingue”. Negare la condonabilità delle opere in tali aree, se solo “relativamente” vincolate, era l’effettivo intento del legislatore dal momento che buona parte dell’intero territorio nazionale è sottoposta a vincolo paesaggistico? TRIBUNALE DI NAPOLI sezione distaccata di Ischia il Giudice dr. Angelo Di Salvo, – disposta la riunione dei sottoindicati 140 ricorsi per incidente di esecuzione, stante l’evidente connessione oggettiva, afferendo ciascuno di essi un’istanza di sospensione dell’ingiunzione di demolizione notificata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribuna le di Napoli emessa in esecuzione di ordine demolitorio statuito da sentenze irrevocabili di questo Tribunale, nonostante la presenza di singole istanze di condono edilizio, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito nella L. n. 326/03, tutte corredate di pagamento dell’oblazione autodeterminata, ritenuta congrua dai rispettivi uffici tecnici comunali, con apposita certificazione acquisita agli atti; – letti i ricorsi stessi, presentati dagli istanti di seguito indicati, con i quali ciascuno di essi, a mezzo del proprio difensore, rispettivamente indicato, ha proposto incidente di esecuzione ai sensi dell’articolo 666 c.p.p., chiedendo la revoca dell’ingiunzione di demolizione emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nelle date rispettivamente indicate o, in subordine, sospendere detto ordine sino al perfezionamento della procedura estintiva a seguito del rilascio del titolo edilizio in sanatoria, con ogni altra statuizione consequenziale, come per legge; – sentito il Pubblico Ministero, che ha insistito per il rigetto di tutti gli incidenti di esecuzione; – sentiti i difensori i quali, nei singoli procedimenti, si sono riportati alle rispettive istanze in atti, chiedendone l’accoglimento: Omissis a scioglimento della riserva formulata alle udienze camerali del 14.4.2008 (dal n. 1 al n. 7 della tabella), del 24.4.2008 (dal n. 8 al n. 27 della tabella), del 21.5.2008 (dal n. 28 al n. 32 della tabella), dell’11.6.2008 (dal n. 33 al n. 75 della tabella) e del 12.6,2008 (dal n. 76 al n. 140 della tabella), rispettivamente indicate per ciascun incidente di esecuzione; – ha pronunziato la seguente ORDINANZA § 1.- Le sentenze di merito – Con le sentenze di merito (indicate nella supportata colonna n. 6), pronunziate sull’accordo delle parti, di applicazione della pena ridotta ex artt. 444 e 445 c.p.p., il Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Ischia ordinava, a titolo di sanzione amministrativa accessoria, la demolizione delle opere edilizie in contestazione. § 2.- L’ingiunzione di demolizione del Pubblico Ministero – Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (nelle date specificamente indicate nella supportata colonna 5) promuoveva la procedura di esecuzione, ingiungendo ai condannati, ai sensi dell’art. 655 c.p.p., “di demolire, entro il termine di 90 giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, le opere abusive compiutamente indicate nella citata sentenza. Con l’avvertenza che, decorso inutilmente l’indicato termine, si procederà di ufficio alta demolizione, con attribuzione delle spese a carico del condannato”. § 3.- Gli incidenti di esecuzione proposti dai condannati – Con ricorso per incidente di esecuzione ciascuno degli istanti, nominativamente indicati (nella supportata colonna 2, dal n. 1 al n. 140), ha impugnato l’ingiunzione di demolizione emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, relativa a ciascuna delle sentenze di condanna (indicate nella surriportata colonna n. 6). In particolare, i difensori dei condannati hanno tutti dedotto, con gli incidenti di esecuzione in esame, che per le opere rispettivamente sanzionate ciascuno dei condannati ha presentato istanza di condono, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito nella L. n. 326/03, provvedendo, altresì, al pagamento dell’oblazione autodeterminata, per tutti ritenuta congrua dai competenti uffici tecnici comunali, come attestato da apposita certificazione acquisita agli atti di ciascuna singola procedura di esecuzione. Con la conseguenza che l’eventuale esecuzione dell’ingiunzione di demolizione ordinata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli era da ritenersi prematura, in quanto avrebbe determinato un pregiudizio (la demolizione dell’immobile), da reputarsi, irreparabile in caso di (verosimile) accoglimento della domanda di sanatoria edilizia. A tale proposito, i difensori hanno sostenuto, con argomentazioni sviluppate anche nel corso delle singole udienze camerali, che “la presentazione di una domanda di condono edilizio, accompagnata dal versamento dell’oblazione in misura congrua, una volta decorso il termine di 36 mesi dal pagamento integrale dell’oblazione stessa (ai sensi dell’art. 32, comma 36, del d.l. n. 269/03, convertito nella L n. 326 cit.), possa determinare, nella fase esecutiva, la revoca o, comunque, la sospensione dell’ordine di demolizione”. I difensori hanno evidenziato che è stato ritenuto da Cass., Sez. III, 11 settembre 2007, che “la revoca dell’ordine di demolizione può essere emessa dal giudice dell’esecuzione solo quando si sia verificata l’estinzione del reato, ossia quando sia stato emanato il provvedimento di condono o siano passati 36 mesi dalla data del pagamento, sempre ovviamente che si tratti di opere condonabili, mentre la sospensione dell’ordine di demolizione può essere disposta solo quando sia in concreto prevedibile che entro breve tempo si verificherà la causa estintiva del reato”; precisando, altresì, che “il rilascio della concessione sanante, invero, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre non ha effetto estintivo dei reati e delle pene, può comportare invece l’inapplicabilità ed anche la revoca dell’ordine giudiziale di demolizione (cfr. “ex plurimis”, Cass., Sez. IlI, 20 gennaio 2003, n. 2406, Gugliandolo; 20 giugno 1997, n. 2475, Coppola; 20 giugno 1997, n. 2474, Morello; 20 giugno 1997, n. 2472, Filieri; 28 novembre 1996, Ilardi; 15 marzo 1996, n. 1264, Larosa; 5 febbraio 1996, Vanacore; 2 marzo 1995, Francavilla)”. 4.- La consulenza tecnica di parte – Inoltre, ciascuno degli esecutati, a corredo del ricorso per incidente dì esecuzione, ha prodotto una consulenza tecnica di parte asseverata, nella quale ciascuno dei c.t. ha dato risposta ai sottoindicati quesiti, nei sensi qui di seguito indicati: QUESITO PERITALE RISPOSTA DEL PERITO 1. Riferìbilità della domanda di condono edilizio all’immobile di cui in sentenza. in sentenza. Si 2. Proposizione dell’istanza da parte di soggetto legittimato. SI 3. Procedibilità e proponibilità della domanda, con riferimento alla documentazione richiesta. SI 4. Pendenza dell’istanza di condono edili-zìo. SI 5. Adozione, da parte della PA., di un provvedimento contrastante con l’ingiunzione di demolizione. NO 6. Sussistenza dì cause di non condonabilità assoluta dell’opera. NO 7. Sussistenza di cause ostative al rilascio del titolo abiiitativo in sanatoria. NO 8. Tempi di definizione del procedimento amministrativo volto alla definizione dell’istanza di condono. Predeterminati per legge in mesi 24 – salvo interruzioni- a norma dell’articolo 7 della legge regionale della Campania 18.11.2004, n.10. 5.- In conclusione, ciascuno dei ricorrenti ha richiesto a questo Tribunale, quale giudice dell’esecuzione, di voler revocare l’ingiunzione dì demolizione notificatagli, ovvero di disporne la sospensione, in attesa delle determinazioni dei competenti uffici comunali relative alla definizione di ciascuna delle istanze di condono edilizio pendenti: ciò al fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio (la demolizione dell’immobile), che potrebbe rivelarsi irreparabile in caso di accoglimento dì ciascuna delle singole domande di sanatoria edilizia. 6.- La tesi del Pubblico Ministero – Fissata, per la discussione, la camera di consiglio ed instauratosi il contraddittorio, il Pubblico Ministero, con memorie di tipo seriale, ha osservato che: l’Isola di Ischia è suddivisa in tre zone sottoposte a diversi regimi dì tutela ambientale (in breve P.I., P.I.R. e R.UA), in base ad una elencazione contenuta negli articoli 11, 12 e 13 del piano relativo all’isola; ognuno di questi articoli elenca in maniera chiara quali interventi edilizi e urbanistici sono consentiti e quali vietati. Infatti, il Piano di Ischia elenca all’art.9 gli interventi che sano ammessi in tutte e tre le zone dell’isola, includendo alla lett. A) gli interventi di ristrutturazione edilizia che, nei limiti di cui all’art.7, punto 6), e nell’ottica di una riqualificazione dell’edilizia recente, non comportino alcun incremento delle volumetrie esistenti; l’art.7, punto 6, a sua volta prevede che la ristrutturazione edilizia (secondo la definizione data dall’art. 31, lett. C), L. 457/87 sia ammessa soltanto per edifici successivi al 1945, con alcune esclusioni per edifici storici e di interesse paesistico. L’art. 13 del medesimo Piano, relativo alla zona R.U.A., afferma esplicitamente che “é vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti, con le esclusioni di cui ai successivi punti 5 e 6 del presente articolo”: Premesso, quindi, che per poter legittimamente effettuare e, quindi, ritenere condonabile anche solo un intervento di ristrutturazione edilizia in zona R.U.A. (la meno tutelata a livello ambientale) deve rispettarsi quanto previsto da uno specifico provvedimento di pianificazione, appare chiaro ed incontrovertibile che qualsiasi intervento che comporti aumento di volumetria non sia mai autorizzabile e conseguentemente, se effettuato abusivamente, non sia condonabile. Sul punto è poi utile ricordare che il piano paesistico è vincolante per gli enti locali, immediatamente operativo, nonché prevalente “sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici”, ‘come previsto dall’art.145, comma 3, D.Lgs 42/04. E’ poi il caso di osservare che, anche a voler ritenere che intervenga la sanatoria edilizia per l’opera in questione, la stessa, comunque, non produrrebbe effetti con riguardo all’ordine di riduzione in pristino per il reato paesistico e, quindi, il Giudice non può sospendere l’ingiunzione a demolire. E’ pacifico, in quanto espressamente previsto dal D.L. 269/2003, che nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi ambientali e paesistici l’art. 32 l.c. ammette i soli interventi edilizi quali il restauro e il risanamento conservativo. Nel caso di specie, trattasi di aumento di volumetria che, quindi, rientra nel concetto di nuova costruzione di cui alla lettera e) dell’art. 3 del D.Lgs. 380/01 e, pertanto, nella tipologia 1 dell’allegato 1) alla legge 326/2003: l’intervento edilizio non è condonabile! In ogni caso, il parere paesaggistico di eventuale compatibilità delle opere abusive va espresso solo nel caso in cui la domanda di sanatoria risulti preliminarmente ammissibile. Il manufatto edilizio oggetto di richiesta di concessione in sanatoria non è dato sapere a tutt’oggi se abbia subito o meno interventi edilizi; al riguardo, chiede rinvio al fine di acquisire informative riguardo allo stato dei luoghi attuale. Il recente intervento (sentenza nr. 70/2008) della Corte Costituzionale in ordine alla declaratoria di incostituzionalità della normativa condonistica non legittima una revoca ovvero la sospensione dell’ordine di demolizione, in quanto rimane in piedi la violazione di norma paesistica che prevede il ripristino dello stato dei luoghi quale sanzione alla violazione di legge. – P.Q.M. chiede il rigetto della istanza di sospensione ovvero di revoca dell’ordine di demolizione”.
7. La questione dì legittimità costituzionale prospettata dalla difesa dei ricorrenti e te avverse deduzioni del Pubblico Ministero -1 ricorrenti hanno impugnato i rilievi del Pubblico Ministero in primo luogo nella parte in cui lo stesso afferma che «in relazione al reato paesistico contestato, la sanatoria non possa produrre effetti relativamente all’ordine di rimessione in pristino». Ciò perché nella presente procedura incidentale si controverte della esecuzione del solo ordine giudiziale di “demolizione” e non anche dell’ordine giudiziale di rimessione in pristino; pertanto la questione è del tutto inconferente e priva di rilievo. Per quanto attiene ai rilievo secondo cui l’accertamento della data del commesso reato escluderebbe la possibilità di conseguire il titolo abilitativo in sanatoria, si richiama la consolidata giurisprudenza del Tribunale, che ritiene, del tutto correttamente, che la prova dell’epoca del commesso abuso rilevante ai fini di una favorevole prognosi di sanabilità è sufficientemente rappresentata dalla dichiarazione sostitutiva di notorietà, che determina una inversione dell’onere probatorio a carico del Comune che, nel caso in esame, non ha fornito elementi di segno contrario alla tesi dell’esecutato. Inconferente è anche la richiesta di indagine suppletiva, con riferimento ai rilievi aereofotogrammetrici, dal momento che, come chiarito dalla Corte Suprema di Cassazione, anche a Sezioni Unite (Cass. Pen., SS.UU., sent Pulerà, 12.10.1993), il Giudice penale non ha competenza istituzionale per compiere l’accertamento di conformità urbanistica, né può sostituirsi alla P.A. nell’esame delle condizioni previste dalla legge per accedere al beneficio condonistìco. Quanto, inoltre, al rilievo secondo cui la sanatoria opererebbe in zona assoggettata a vincolo paesaggistico soltanto per le tipologie di illecito nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al D.L. n. 269/2003, osserva che il richiamo, sul punto specifico, operato dal Pubblico Ministero, al comma 27 dell’articolo 32 del medesimo D.L. n. 269/2003 non è pertinente, in quanto tale ultima disposizione àncora la sanabilità nelle suddette zone al solo positivo accertamento della conformità urbanistica delle opere realizzate, senza distinguere tra opere che abbiano determinato incrementi di superficie o di volume (nuove costruzioni) ed opere che si siano concretizzate in interventi edilizi minori. Quanto alla sentenza n. 6431/2007 della Corte di Cassazione, la stessa fa leva non già sull’art. 32, comma 27, del D.L 269/03, bensì sulla diversa disposizione di cui al comma 26. Sulla assoluta legittimità della sospensione dell’ingiunzione disposta da codesto G.E., va detto che anche il P.G. della Corte Suprema di Cassazione, con atto del 7 aprile 2008, ha rilevato che “è del tutto legittimo un provvedimento limitato nel tempo, dì sospensione, volto ad evitare il verificarsi di un pregiudizio (la demolizione dell’immobile), che potrebbe rivelarsi irreparabile in caso di accoglimento della domanda di sanatoria, ferma restando – in caso contrario – la possibilità di ripristinare l’ordine violato dando esecuzione alla demolizione ordinata in sentenza”. Il difensore rileva, in ogni caso, la refluenza, ai fini del decidere, della sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 28.3.2008, nella parte in cui dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 36 dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, in relazione al requisito prescritto del decorso del termine di 36 mesi ai fini della applicabilità della causa di estinzione del reato urbanistico. Alla luce di tale pronuncia, significativamente innovativa, giacché ricollega alla sola prova del pagamento della oblazione l’effetto estintivo, non vi è dubbio che l’incidente di esecuzione possa trovare accoglimento. Ove non si dovesse accedere, per mera tesi, ma lo si esclude, alla interpretazione suesposta, va eccepita l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32 del D.L. n. 269/2003 per contrasto con gli articoli 3, 25 e 42 della Costituzione, nella parte in cui sottopone a differente trattamento sanzionatone i contravventori condannati o che abbiano ottenuto pena concordata, ex art. 444 c.p.p., che abbiano presentato domanda di condono con pagamento dell’oblazione dovuta nella vigenza delle precedenti normative di sanatoria straordinaria (Leggi n. 47/1985 e n. 724/1994), rispetto a coloro i quali abbiano presentato domanda di condono con pagamento dell’oblazione dovuta nella vigenza dell’articolo 32 del D.L. n. 269/2003. Risulterebbero, in tal caso, violati, in particolar modo, il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza, tenuto conto che tra le precedenti normative di condono e quella più recente è stata operata una specifica saldatura come chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 196 del 2004, stante l’esplicito richiamo contenuto nel comma 25 dell’articolo 32 citato alle disposizioni di cui ai capi 4° e 5° della Legge n. 47 del 1985, ivi compresa quella di cui all’art. 39, secondo cui una volta effettuato il pagamento dell’oblazione, pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguono ì reati edilizi e le sanzioni amministrative, anche tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 38, commi 2, 4 e 43, della Legge n. 47/1985, che prevede, tra gli effetti tassativi dell’oblazione, anche quelli che influiscono sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative. Tale conclusione è del tutto coerente sia con quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con la ordinanza n. 56 del 12 marzo 1998 e con la sentenza n. 49 del 10 febbraio 2006, sia, infine, con quanto ritenuto da Cass. SS.UU., 12.10.1993, n. 72, Palerà, e 20.11.1997, Mazzola. La questione è rilevante, ai fini del decidere e non manifestamente infondata, giacché, pur in presenza del pagamento integrale dell’oblazione, a voler accedere alla tesi sostenuta dal pubblico ministero, sarebbe necessario, ai fini della revoca dell’ordine giudiziale di demolizione, il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, la qual cosa, per vero, non si rinviene in alcuna disposizione né della legge n. 47/1985, né in quella successiva in materia di condono, n. 724/1994, né nello stesso articolo 32 del più volte citato D.L. n. 269/03. Si chiede, quindi, sospendersi il giudizio e l’ordine giudiziale dì demolizione, disponendosi la trasmissione di copia degli atti alla Corte Costituzionale per il giudizio sull’incidente di costituzionalità”. Il Pubblico Ministero ha reputato “manifestamente non rilevante, ai fini dei decidere, la questione di legittimità costituzionale, in quanto ai fini della revoca dell’ordine giudiziale di demolizione si presenta decisiva esclusivamente l’eventuale intercorsa declaratoria di estinzione del reato. Inoltre, la differente disciplina, sottolineata dalla difesa, tra la normativa di sanatoria straordinaria e la disciplina dettata dalla impugnata norma trova ragionevole giustificazione nella intenzione del legislatore di premiare coloro che accedono alla definizione del processo in regime pattizio”. Il Pubblico Ministero, si è, infine, riportato al consolidato orientamento restrittivo del diritto vivente formatosi in materia, richiamando, in particolare, la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007, secondo cui “non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici. La seconda parte della lettera a) del comma 26 del medesimo D.L. statuisce infatti espressamente che nelle aree sottoposte a vincolo di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 32 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologia, ambientali e paesistici), è possibile ottenere la sanatoria solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo”.
8. La questione di diritto – La questione di diritto sottoposta all’esame dì questo Tribunale concerne l’interpretazione dell’art. 32, comma 26, dei D.L. n. 269/2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, alla luce del diritto vivente, di cui alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007, espressamente richiamata dal Pubblico Ministero nel corso delle udienze camerali.
9. La sentenza della Corte al Cassazione. Sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007 – Con la predetta sentenza, il «diritto vivente» ritiene che nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici, la norma scrutinata [art. 32 comma 26, lettera A) D.L. n. 296/2003] ammetta la possibilità di ottenere la sanatoria per i soli interventi edilizi di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria e non anche per gli interventi innovativi, comportanti incremento di superficie e di volume. I punti fermi di tale restrittivo orientamento, sottolineati anche dal Pubblico Ministero, sono i seguenti: I. “La seconda parte della lett. a) del comma 26 statuisce espressamente che, nelle aree sottoposte a vincolo dì cui all’art. 32 della legge n. 47/1985 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici), è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Ed in proposito non può mancarsi di rilevare che la normativa statale sul condono edilizio, per la sua natura straordinaria ed eccezionale, è di stretta interpretazione”. II. “Inequivoca è, al riguardo, la Relazione governativa al d.l. n. 269/2003, secondo la quale “(…) è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili, tra le quali si evidenziano quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativi edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici (…). Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia degli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale”.
10. La tesi contraria dei ricorrenti – Come riconosciuto dalla stessa sentenza della Corte Suprema di Cassazione, a tale indirizzo sono state mosse in dottrina (ed anche nel giudizio definito con la richiamata sentenza) varie obiezioni che possono cosi riassumersi: 10.1. L’art. 43 del D.L. n. 269 del 2003, che ha integralmente sostituito l’art. 32 della Legge n. 47 del 1985, ha ripudiato l’istituto del silenzio – assenso, attribuendo al comportamento omissivo, protrattosi oltre 180 giorni dalla richiesta di parere, valenza di silenzio – rifiuto per tutti i tipi di vincoli. Ai fini dell’acquisizione dei pareri “si applica quanto previsto dall’art. 20, comma 6, del D.P.R. n. 380/01” ed “il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria” (comma 4). “Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte” (previsione, quest’ultima, contenuta anche nella precedente formulazione). 10.2. In relazione alla intervenuta sostituzione dell’art. 32 della Legge n. 47 del 1985, le tipologie d’intervento ammesse a condono non potrebbero di certo essere circoscritte a quelle elencate nei nn. 4,5 e 6 dell’allegato 1. Non avrebbe senso, infatti, la obbligatoria convocazione di una “dispendiosa” conferenza di servizi per opere di minima importanza (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo), né avrebbe senso richiedere per le medesime opere la acquisizione del parere paesaggistico, stante la disposizione che tale parere invece esclude “quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte (violazioni queste ultime considerate più gravi di quelle che possono commettersi in occasione dell’esecuzione degli interventi di manutenzione e restauro). 10.3. La “non rilevanza” -secondo il diritto vivente- delie argomentazioni addotte dai sostenitori della tesi “estensiva” dei limiti di applicabilità del terzo condono edilizio. Tali argomentazioni, secondo il diritto vivente, non appaiono “conducenti”, in quanto esse non tengono in conto che: A) Nelle zone paesaggistica mente vincolate è inibita – in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della Legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla Legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 – ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, con le deroghe eventualmente individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma – lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e consistenti (tra l’altro) nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, e nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. B) Qualora un qualsiasi intervento edilizio da realizzarsi mediante d.i.a. (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo) riguardi immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), della legge n. 394/1991 (Legge-quadro sulle aree protette), della Legge n. 183/1989 (norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) e del D.Lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale), l’effettuazione dello stesso è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (art. 22, 6° comma, del D.P.R. n. 380/2001). Nell’ambito delle norme di tutela rientrano, altresì, le previsioni: – dei piani territoriali paesistici o dei piani urbanistico – territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali; – degli strumenti urbanistici, qualora siano espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico -artistiche, storico – architettoniche e storico – testimoniali. C ) – La previsione dell’art. 32 della Legge n. 47/1985 – secondo la quale “il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte” [identica sia nel testo precedente, più volte modificato fino alla formulazione risultante in seguito alla Legge n. 662/1996, sia in quello novellato dal D.L n. 269/2003] – non è riferita, ad evidenza, al solo vincolo paesaggistico, bensì a tutte quelle situazioni in cui l’esistenza di un “vincolo” (quale limitazione alla sfera dì godimento e disposizione di un bene per il soddisfacimento e la tutela di interessi pubblici) è affermata dal legislatore, con terminologia sicuramente generica e per alcuni versi pure impropria, in relazione a fattispecie anche molto diverse quanto a disciplina giuridica, contenuti ed effetti. Con elencazione avente carattere meramente esemplificativo può ricordarsi che l’art. 32 inerisce – oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali – ai vincoli storici, artistici, architettonici ed archeologici; ai vincoli idrogeologici; ai vincoli previsti per i parchi e le aree naturali protette; ai vincoli derivanti dall’esistenza di usi civici; ai vincoli derivanti dalle “zone di rispetto” del demanio stradale, ferroviario ed aeroportuale, dei cimiteri; alle prescrizioni imposte per le costruzioni da eseguirsi in zone sismiche; ovvero ad altre limitazioni poste dal D.M. 1.4.1968, n. Ì404. Quanto al vincolo paesaggistico, la disposizione in esame può razionalmente correlarsi soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5″ comma – lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali. D ) – Il riformulato 4° comma dell’art. 32 della Legge n. 47/1985 si limita a stabilire che “ai fini dell’acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall’articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. Il richiamato art. 20, comma 6, del D.P.R. n. 380/2001 dispone, a sua volta, che, “nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre Amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5, comma 3 (atti di assenso, cioè, diversi dal parere dell’AS.L e dal parere dei Vigili del Fuoco, ove necessari n.d.r.), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14bis, 14ter e 14 quater della Legge n. 241/1990 e successive modificazioni”. Ai sensi dell’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001, l’ufficio dello sportello unico per l’edilizia cura gli incombenti necessari ai fini dell’acquisizione, anche mediante conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14 bis, 14 ter e 14 quater della Legge n. 241/1990, degli atti di assenso comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell’intervento edilizio). Un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell’art. 5, comma 4, del T.U. n. 380/2001 non consente però di affermare che l’ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi qualora sia necessario acquisire l’assenso di altre Amministrazioni (in difformità dal previgente art. 4, 2° comma, del d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile del procedimento soltanto la facoltà discrezionale di detta convocazione). Appare corretta invece, in proposito, l’applicazione dell’art. 14, V comma, della Legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005, ove si stabilisce l’obbligatorietà della conferenza di servizi quando l’Amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di assenso comunque denominati ad un’attività privata, provenienti da altre Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della relativa richiesta. Il dirigente o responsabile dell’ufficio comunale, dunque, nel termine che ha a disposizione per l’istruttoria, deve anzitutto richiedere gli atti di assenso alle altre Amministrazioni coinvolte e, solo qualora queste non si pronuncino entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto il dissenso di una o più Amministrazioni interpellate), deve essere convocata la conferenza. E ) – In conclusione, secondo il diritto vivente, “alla stregua delle disposizioni legislative dinanzi enunciate e della loro corretta ermeneusi, non può attribuirsi rilevanza alle prospettazioni che i sostenitori della tesi “estensiva” dei limiti di applicabilità del terza condono edilizio riferiscono: – alla pretesa incongruenza della limitazione della sanabilità ai soli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo rispetto alla previsione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, secondo la quale “Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte”; – all’eccessiva dispendiosità di una conferenza di servizi da indirsi esclusivamente per interventi edilizi minori. Si è rilevato, infatti, che: anche l’effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può avere sul paesaggio già il solo rifacimento totale dell’intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore); – la previsione dell’art. 32 della legge n. 47/1985 ben si spiega con riferimento ai “vincoli” di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a quest’ultimo vincolo, può comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma – lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali; – per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica la conferenza di servizi non è imprescindibilmente obbligatoria”. 10.4- L’articolo 146 D.Lgs, n. 42/2004 – Viceversa, secondo la tesi prospettata dalla difesa dei ricorrenti non appare pertinente il richiamo all’art. 146 del D.lgs. n. 42/2004, secondo cui nelle zone paesaggisticamente vincolate sarebbe inibita, in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della Legge n. 1497 del 1939, “ogni modificazione dell’assetto del territorio attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, ad eccezione dei lavori consistenti (tra l’altro) nella manutenzione ordinaria e straordinaria e nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. Ciò perché la norma in esame disciplina gli interventi da realizzare e non anche quelli già realizzati, la cui regolarizzazione è riservata – a determinate condizioni – alle fattispecie di sanatoria straordinaria o a quella c.d. “a regime”. Sul punto, è stato ricordato che, come ribadito dalla stessa Corte di Cassazione penale con riferimento all’ambito di applicazione del regime autorizzatone,, avente ad oggetto le opere da eseguire “ex novo”, “non ogni opera che interessi la superficie esterna determina “alterazione”, ma esclusivamente quella che ne immuti in modo rilevante ed essenziale le sue caratteristiche (cfr., negli esatti termini, Cass. Pen., Sez. III, 26.5.1992, n. 660; in senso conf.: Cass. Pen., Sez. III, 30.9.1993, n. 1813; ibidem Cass. Pen., Sez. III, 26.4.1999, n. 5304). Inoltre, il comma 26 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 non pone alcuna distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria idonee ad alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici ed opere appartenenti alla medesima tipologia edilizia che tale idoneità invece non hanno. 10.5. L’articolo 22 D.P.R. n. 380/2001 – Per le stesse ragioni i ricorrenti hanno sostenuto che non appare pertinente il richiamo all’art. 22 del D.P.R. n. 380 del 2001 che si occupa degli interventi “realizzabili mediante denuncia di inizio attività” e non anche – logicamente – delle opere già eseguite, in disparte ogni questione sulla rìferìbilità o meno della limitazione di cui al comma 6 (obbligo del preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative) agli “immobili sottoposti a tutela storico – artistica a paesaggistico -ambientale”, intesi come immobili in senso stretto e non anche come aree (in ordine alla dicotomia “aree ed immobili”, cfr. l’art. 134 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 cìt), dove per immobili si intendono quelli di cui alle tipologie nn. 1 e 2 dell’articolo 1 della legge n. 1497 del 1939, cioè le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica, le ville, i giardini e i parchi, intendendosi designare con il termine “immobili” determinati beni – giuridicamente e catastalmente – tendenzialmente unitari. 10.6. L’articolo 149 D.Lgs, n. 42/2004 – I ricorrenti hanno, altresì, rappresentato che, a voler seguire l’interpretazione del «diritto vivente», la stessa non tiene conto, comunque, dì quanto previsto dall’art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004, che esclude, come è noto, l’obbligo della autorizzazione prescritta dall’articolo 146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159: “a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio; e) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia”. La deroga al regime autorizzatolo, sia pure per determinate tipologie di intervento, segna il confine, delimitando l’ambito di applicazione, nelle zone paesaggisticamente vincolate, dello stesso regime inibitorio che, pertanto, non può essere inteso come assoluto, ovvero riferito a “lavori dì qualsiasi genere”. Anzi, quel che maggiormente rileva è che, mentre la disciplina introdotta dall’art. 149 cit. fa salvi (nel senso che non ne richiede l’autorizzabilità “ex ante”) i soli interventi edilizi minori di recupero del patrimonio edilizio esistente, l’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, al comma 43, esclude dall’obbligo del preventivo parere (come, peraltro, già previsto dall’originaria formulazione della norma) “le violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte”. Trattasi, con tutta evidenza, di abusi che, nella maggior parte dei casi, hanno, comunque, prodotto modifiche “alterative” con incrementi planovolumetrici e, pertanto, diversi, per loro natura e caratteristiche, dagli interventi edilizi minori di tipo “conservativo”, per i quali è escluso, come già detto, l’obbligo dell’autorizzazione qualora “non alterino” lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. 10.7- L’articolo 143. comma 5 lett. b) D. Lg.vo n. 42/2004 – E’ stato, altresì, dedotto che non del tutto convincente è, poi, l’argomentazione addotta dal diritto vivente, secondo cui l’art. 32 della Legge n. 47/1985, per il quale “il parere non è richiesto quando sì tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2% delle misure prescritte”, inerendo – oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali – anche a vincoli di diversa natura, come ad es., ai vincoli artistici, architettonici, archeologici ed idrogeologici, può razionalmente correlarsi, quanto al vincolo paesaggistico, “soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma – lett. b, del d.lgs. n. 42/2004, nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali”. Tale argomentazione omette di considerare, innanzitutto, che l’art. 143, 5″ comma, lett. b), disciplina – in ambito regionale – l’attività pianificatoria, nella quale la (possibile) individuazione delle opere e degli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica è subordinata “alla verifica della conformità alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico”, nel mentre l’ambito di operatività dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, nella parte in cui esclude l’obbligo del parere per le violazioni che non eccedono il 2%, è esteso – come è noto – all’intero territorio nazionale. Inoltre, la lettera e (del comma 5) dell’art. 143 fa riferimento alle “aree significativamente compromesse o degradate”, nelle quali la realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione potrà non richiedere “il rilascio dell’autorizzazione dì cui agli articoli 146,147 e 159”. Ma tali interventi sarebbero pur sempre confinati all’interno del perimetro degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e, data la lettera tassativa della norma, non potrebbero giammai concretizzarsi in opere costituenti incrementi di superficie e di volume. L’art. 32, di contro, esonera dall’obbligo del parere gli interventi che hanno provocato incrementi sia di altezza che di volumetria e superficie e che, pertanto, non possono essere ricondotti al novero degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente. A ciò aggiungasi che l’applicazione dell’art. 143, comma 5, è fatta salva dall’art. 149 (“Interventi non soggetti ad autorizzazione”) con riferimento non già alla lettera b), bensì alla lettera a). Non appare, comunque, ragionevole ed ermeneuticamente corretto operare correlazioni tra una normativa condonistica, quale quella del citato art. 32, di stretta interpretazione, come riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione, con altra normativa come quella introdotta dal d.lgs. n. 42 del 2004, per giunta entrata in vigore in epoca successiva ed agganciata, per quel che attiene alla pianificazione paesaggistica, ad eventi futuri ed incerti. Si richiama, a titolo esemplificativo, la disposizione di cui al comma 7 dell’art. 143, secondo cui: “Il piano può subordinare l’entrata in vigore delle disposizioni che consentono la realizzazione di opere ed interventi senza autorizzazione paesaggistica, ai sènsi del comma 5, all’esito positivo di un periodo dì monitoraggìo che verifichi l’effettiva conformità alle previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate”. 10.8- La questione controversa – Il punto critico sul quale maggiormente si sono concentrate le censure di incostituzionalità mosse dai ricorrenti al «diritto vivente», sì riferiscono al criterio ermeneutico seguito dalla Corte Suprema per confutare le obiezioni mosse alla anzidetta interpretazione dell’art. 32, comma 26 (considerata dai ricorrenti non condivisibile, perché ingiustificatamente restrittiva), sta nella affermazione secondo cui, “per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, la conferenza di servizi non è imprescindibilmente obbligatoria”. In altri termini, come già anticipato, un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 380/01, per il diritto vivente “non consente di affermare che l’ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi qualora sia necessario acquisire l’assenso dì altre Amministrazioni (in difformità dal previgente art. 4, 2” comma, del d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile del procedimento soltanto la facoltà discrezionale di detta convocazione). Appare corretta invece, in proposito, l’applicazione dell’art. 14, 2° comma, della legge n. 241/90, come modificato dalla legge n. 15/05, ove si stabilisce l’obbligatorietà della conferenza dei servizi quando l’Amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di assenso comunque denominato ad un’attività privata, provenienti da altre Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate)”‘. Sempre secondo la Corte, ai sensi dell’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001, l’ufficio dello sportello unico per l’edilizia “cura gli incombenti necessari ai fini dell’acquisizione anche mediante conferenza ai sensi degli artt. 14, 14 bis, 14 ter e 14 quater della legge n. 241/1990 di servizi, degli atti di assenso”. La qual cosa starebbe a significare, come è desumibile dalla locuzione “anche mediante conferenza”, che quest’ultima non è obbligatoria, essendo la relativa convocazione espressione di una mera facoltà discrezionale. Anche in tal caso trattasi, a ben vedere, di osservazioni che non appaiono aderenti al dettato normativo. La questione controversa attiene, infatti, all’ambito di applicazione del comma 26 dell’art. 32. Pertanto, non è dato comprendere quale valenza possa attribuirsi, in concreto, alla disposizione contenuta nell’art. 5, comma 4, del testo unico dell’edilizia, la quale è obiettivamente riferita ai procedimenti ordinari finalizzati al rilascio del permesso di costruire, con la conseguenza che la stessa, stante l’assenza di ogni richiamo o rinvio “ob relationem”, non può spiegare alcuna efficacia nella materia: regolata dalla normativa sul condono che – lo si ripete – costituisce normativa di stretta interpretazione per la quale è, all’evidenza, preclusa un’interpretazione analogica estensiva in malam partem. Quel che più conta è che l’art. 32 del D.L. n. 269/2003 stabilisce, senza possibilità di interpretazioni alternative, che: “Ai fini dell’acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall’articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380″. Il richiamato art. 20, comma 6, prevede, a sua volta, che: Nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5, comma 3 (atti di assenso, cioè, diversi dal parere dell’ASI, e dal parere dei Vigili del Fuoco, ove necessari, n.d.r.), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14,14 bis, 14 ter e 14 quater della legge n. 241/1990 e successive modificazioni”. Stante il testuale tenore delle disposizioni ora citate non appare ammissibile “un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001”. Tale interpretazione “additiva” si pone contro la lettera della norma (di per sé sufficientemente chiara ed in quanto tale non suscettibile di alcuna interpretazione secondo il noto brocardo “in claris non fit interpretatio”) che configura l’iniziativa del “competente ufficio comunale” quale iniziativa dovuta, priva di margini di discrezionalità. D’altra parte, l’obbligatorietà della conferenza appare giustificata dal fatto che, nelle zone assoggettate a vincolo, il legislatore del c.d. condono ter ha ritenuto che l’amministrazione, nel l’esaminare le istanze di sanatoria, non possa prescindere dall’obbligo di pronunciarsi espressamente sulle istanze medesime (vedasi, sul punto, anche Cass. pen, Sez. III, ord. n. 102 /1996, secondo cui “gli atti consultivi endoprocedimentali obbligatori – tra cui certamente rientra il parere previsto dall’art. 32, comma 1, Legge n. 47/1985 e successive modificazioni – devono essere richiesti dalia stessa autorità investita del procedimento”). All’esame di tali istanze, l’amministrazione provvede, in ogni caso, solo dopo aver acquisito, nei modi e nelle forme previste per la conferenza dei servizi, il parere di competenza degli altri enti coinvolti, ed “il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, preclude il rilascio del titolo abilitatìvo edilizio in sanatoria”. Trattasi di procedimento applicabile alla sola fattispecie regolata dal “terzo” condono, essendo stato espressamente stabilito, al comma 43 bis dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, che “le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi delle predette leggi”. Alla stregua di tali considerazioni non sembra sostenibile, sia sul piano logico che su quello giuridico, la tesi propugnata dal diritto vivente, secondo cui la conferenza dei servizi sarebbe stata prevista esclusivamente per gli interventi edilizi minori. Né persuade, in contrario, la diversa opinione, espressa sempre dal diritto vivente, secondo cui tale tesi non sarebbe, poi, tanto illogica dal momento che “anche l’effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate al vincolo paesaggistico – ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può avere sul paesaggio già il solo rifacimento totale dell’intonacatura e dei rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore)”. In senso opposto, infatti, si è già osservato in precedenza, in linea con quanto previsto dall’art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004, che, intanto gli interventi dì manutenzione e restauro su immobili sottoposti a vincolo richiedono l’autorizzazione preventiva, se (e nella misura in cui) gli stessi siano idonei a determinare alterazione dello stato dei luoghi, incidendo in modo giuridicamente rilevante sull’assetto paesaggistico detta zona e sull’aspetto esteriore degli edifici (Cass., Sez. IlI, sent. n. 39355 del 29.11.2006; Cass., Sez. III, sent. n. 38051 del 28.9.2004; Cass., Sez. III, sent. n. 23980 del 26.5.2004; Cass., Sez. III, sent. n. 19761 del 29.4.2003; Cass., Sez. III, sent. n. 14461 del 28.3.2003; Cass., Sez. III, sent. n. 12863 del 20.3.2003). Negli altri casi l’autorizzazione è esclusa e gli interventi in questione sono sempre ammissibili. D’altronde, come autorevolmente ritenuto proprio dalla Corte Costituzionale con sentenza del 23.6.2000, n. 238, avuto riguardo proprio agli immobili condonati (la cui legittimità rispetto alle previsioni urbanistiche deriva solo dalla sanatoria-condono), “la privazione della possibilità (in via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilità concreta, circa il modo e l’entità degli interventi, con le esigenze di tutela ambientale e – si può aggiungere- urbanistica), per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, senza alterare l’aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell’edificio, rappresenta certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà. Infatti, l’anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulla possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto, producendo un inevitabile progressivo abbandono e perimento (strutturale e funzionale) del medesimo. Deve, pertanto, escludersi la legittimità di una disposizione che comporta per il proprietario, ancorché non espropriato della titolarità, uno svuotamento del suo diritto nel modo più irrimediabile e definitivo, e cioè con graduale degrado e perimento del bene (costruzione) ed una progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura, (conforme a licenze, concessioni e autorizzazioni ancorché in sanatoria)”. [negli stessi sensi, cfr. sentenza costituzionale n. 529 del 1995]. Va, peraltro, ribadito che I art. 32, comma 26, prevede per interventi di manutenzione e restauro, da eseguirsi su immobili assoggettati a vincolo, la necessaria acquisizione “del parere o dell’autorizzazione richiesti”, abbiano o meno -tali interventi – prodotto alterazione dello stato dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici. Avendo la norma (art. 32, comma 4) stabilito che il parere va acquisito, ai sensi dell’art. 20, comma 6, del D.P.R. n. 380 del 2001, ovvero mediante conferenza dei servizi, non può fondatamente affermarsi, come sostenuto dal diritto vivente, che la sanatoria introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, per le opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, va limitata ai soli abusi minori, compresa la manutenzione che dalla disciplina ordinaria è esonerata dall’obbligo dell’autorizzazione preventiva (quantomeno nei casi in cui la stessa non determini “alterazione”). Non appare ragionevole, quindi, ritenere, anche alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, nelle decisioni sopra riportate, sul “contenuto minimo” della proprietà, che possa essere negato l’assenso alla sanatoria di una manutenzione straordinaria eseguita senza titolo che non abbia determinato alterazione, per giunta all’esito di una conferenza di servizi. Né pare decisivo -ad avviso dei ricorrenti, sul piano della interpretazione del comma 26- il richiamo, operato dal diritto vivente, alla relazione governativa al D.L n. 269 del 2003, secondo la quale “…. è fissata la tipologia di opere insanabili tra le quali si evidenziano… quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici… Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia sugli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aeree diverse da quelle soggette a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale”. A prescindere dai limiti dell’efficacia delle enunciazioni contenute nella Relazione governativa in sede di interpretazione del testo normativo -limiti dei quali è consapevole lo stesso diritto vivente- va detto, di contro, che la circolare esplicativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblicata in G.U. il 3 marzo 2006, n. 52, non contiene alcun riferimento a tale interpretazione restrittiva, in malam partem, espressa dal diritto vivente. Viceversa, l’interpretazione fornita dal Ministero delle Infrastrutture sembra avallare la tesi secondo cui, contrariamente a quanto ritenuto dal diritto vivente, la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi, come quella in esame, di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995). 11.- Il c.d. «diritto vivente» – La sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 6431 del 15 febbraio 2007, espressamente richiamata dal Pubblico Ministero, pur tenendo conto dei suesposti rilievi critici, si inserisce, comunque, nel solco, già tracciato da altre decisioni della medesima Corte di Cassazione (si vedano, fra le tante, Cass., Sez. IlI, 1.10.2004, n. 38694; Cass., Sez. IlI, 24.9.2004, n. 37865; Cass., Sez. IlI, 21.12.2004, n. 48954 ; Cass., Sez. III, 21.12.2004, n. 48956 ; Cass., Sez. IlI, 12.1.2005, n. 216; Cass., Sez. IlI, 5.4.2005, n. 12577), secondo cui, a seguito della entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, le nuove costruzioni realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e in area assoggettata a vincolo (anche relativo, come nella fattispecie) non sono suscettibili di sanatoria, ostandovi il disposto dell’art. 32, comma 26, lett. a), dello stesso D.L. n. 269. Si è, dunque, in presenza di un diritto vivente, ovvero di una sufficiente certezza sul significato della disposizione considerata, dalla quale questo Tribunale non potrebbe agevolmente discostarsi. Facendo, quindi, applicazione del suesposto principio di diritto affermato dal diritto vivente, questo Tribunale dovrebbe, pertanto, rigettare tutti gli incidenti di esecuzione in esame, non potendo revocare i relativi ordini di demolizione, aventi ad oggetto, appunto, nuove costruzioni in zona assoggettata a vincolo paesistico, per te quali, nonostante la pendenza di 140 procedure dì ed. «condono edilizio ter», tutte corredate del rispettivo «parere di congruità» espresso dalle competenti amministrazioni comunali, relativamente agli oneri versati da tutti I ricorrenti, non sarebbe in nessun caso possibile ottenere la sanatoria, ostandovi il disposto dell’art. 32, comma 26, lett. a), del D.L n. 269 del 2003. A tale conclusione questo Tribunale sarebbe costretto a pervenire sebbene la Corte Costituzionale, con sentenza n. 70 del 12 marzo 2008, abbia dichiarato l’ilegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 36, del D.L. n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede che gli effetti di cui all’articolo 38, comma 2, della legge n. 47 del 1985 si producono anche allorché, anteriormente al decorso dei 36 mesi dal pagamento della oblazione, sia intervenuta l’attestazione di congruità da parte dell’autorità comunale, come verificatosi in tutte le 140 fattispecie in esame. LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELIA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ’ COSTITUZIONALE DELL’ARTICOLO 32, COMMA 26, DEL D.L N. 269/2003, CONVERTITO NELLA L N. 326 DEL 2003, PER CONTRASTO CON GU ARTICOLI 3, 42, 81, 117 E 119 DELLA COSTITUZIONE. 1.- CONTRASTO CON L’ARTICOLO 3 DELLA COSTITUZIONE – Poiché il ed. «diritto vivente» non è sempre conforme ai dettami della Carta Costituzionale (Corte Costituzionale, sent. n. 167/1984) è da scrutinare se il sistema applicativo, quale risulta dagli orientamenti del Giudice di legittimità cui compete la nomofilachia, sia conforme ai parametri costituzionali di cui agii artt. artt. 3 e 24. La risposta, ad avviso di questo giudice remittente, è negativa, in quanto il Tribunale reputa che la rigida interpretazione estensiva, in malam partem, dell’articolo 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella l. n. 326 del 2003 fornita dal diritto vivente sia in contrasto innanzitutto con l’articolo 3 della Costituzione, investendo il principio di ragionevolezza e finendo con lo snaturare la stessa volontà del legislatore, sui versante degli effetti penali della sanatoria nelle aree assoggettate a vincolo paesistico. 1.1. LA GIURISPRUDENZA DEL GIUDICE DELLE LEGGI SUGLI EFFETTI ESTINTIVI DELL’«OBLAZIONE» E LA SUA RICADUTA SUL REGIME SANZIONATORIO AMMINISTRATIVO IN MATERIA EDILIZIA. A) – La sentenza n. 196 del 28 giugno 2004. Per una compiuta disamina della problematica, in rapporto all’osservanza del canone di ragionevolezza, va evidenziato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 196 del 28 giugno 2004, ha individuato, con ricchezza di argomentazioni, la portata logico-sistematica delle caratteristiche generali del c.d. “nuovo condono edilizio” (condono ter) di cui all’articolo 32 del D.L. n. 269/2003 innanzi richiamato, indicandone l’interpretazione storico – contenutistica conforme alla Costituzione. Posto che fra più interpretazioni possibili di una norma, il Giudice deve pre-scegliere quella conforme alla Carta fondamentale, appare doveroso precisare che la Consulta, sul punto, ha così statuito: “Malgrado la titolazione dell’ari. 32 sia “Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni delle aree demaniali”, l’oggetto fondamentale di tale disposizione è la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all’intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del “permesso di costruire in sanatoria”, disciplinato dagli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ancorato a presupposti in parte diversi e comunque sottoposto a condizioni assai più restrittive. Si tratta, peraltro, di un condono che si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta: ciò è reso del tutto palese dai molteplici rinvìi contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal comma 25 dell’art 32, il quale espressamente rinvia alle disposizioni dei “capi IV e V della leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni”, disponendo che tale normativa, come ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica “alle opere abusive” cui la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell’istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una esplicita saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni. Resta, in particolare, la caratteristica fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa: l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costruire il presupposto per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti dì esecuzione delle sanzioni amministrative (cfr art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985) e costituisce: uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilìtativo in sanatoria (commi 32 e 37 dell’art 32 in questione); ancora, l’oblazione interamente corrisposta costituisce condizione perché la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative, “ivi comprese le pene pecuniarie e le sovrattasse previste per le violazioni delle disposizioni in materia di imposte sui redditi relativamente ai fabbricati abusivamente eseguiti” (cfr. art 38, quarto comma, della legge n. 47 del 1985). Ciò non esclude, peraltro, che ove sia stata effettuata l’oblazione, pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di denaro siano “ridotte in misura corrispondente all’oblazione versata” (art. 39 della legge n. 47 del 1985). Rispetto ai precedenti, l’attuale condono risulta per alcuni profili più ristretto, dal momento che il comma 25, relativamente alle nuove costruzioni residenziali, pone un limite complessivo di 3.000 metri cubi ai volumi sanabili, e definisce analiticamente le tipologie di abusi condonabili (comma 26 e Allegato 1), introducendo altresì alcuni nuovi limiti all’applicabilità del condono (comma 27), che si aggiungono a quanto previsto negli arti. 32 e 33 della legge m 47 del 1985. A fianco di tali previsioni, viene disciplinata analiticamente la possibilità di sanare opere abusive edificate su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale o su aree gravate da diritti di uso civico (commi da 14 a 20). Il richiamo all’intero capo IV della legge n. 47 del 1985 rende applicabile anche al presente condono la sospensione dei procedimenti amministrativi e giurìsdizionali disposta dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto e fino alla scadenza dei termini fissati per la presentazione delle domande di sanatoria {stabilito, come è notò, originariamente al 31 marzo 2004, quindi differito al 31 luglio 2004 dal decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82 (Proroga di termini in materia edilizia), convertito in legge ad opera della legge 28 maggio 2004 n. 141 (Conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82, recante proroga di termini in materia edilizia)]. La regolare e tempestiva presentazione di tale domanda al Comune competente, nonché il versamento dell’oblazione, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative” (art. 38, primo comma, della legge n. 47 del 1985). Il titolo abilitativo è rilasciato dal Comune, ove non vi siano motivi ostativi (art. 35 della legge n. 47 del 1985), ma il comma 37 dell’art 32 del d.l. n. 269 del 2003 dispone che H decorso di 24 mesi dalla consegna della documentazione, senza che l’amministrazione abbia adottato un provvedimento negativo, integra un’ipotesi di silenzio-assenso, che equivale al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria. Da notare, infine, che permane l’atipicità dell’oblazione delineata da questa legislazione (e destinata all’erario statale, ai sensi dell’art. 34, primo comma, della legge n. 47 del 1985), che differisce sotto più profili dall’Istituto disciplinato in generale dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale, e la cui quantificazione è determinata o forfettariamente o in misura rapportata alla tipologia dell’abuso, alla qualità degli immobili e alla superficie della costruzione abusivamente realizzata (si veda, al riguardo, la sentenza n. 369 dei 1988)” (cfr., negli esatti termini, Corte Costituzionale, sent. n. 196/2004 cit.) B) – La vexata quaestio della «competenza» del Giudice penale in materia di accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici. Nella sentenza n. 196/2004, il Giudice delle Leggi così prosegue: “Il condono edilizio dì tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i Comuni direttamente interessati, assumendosi l’onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all’eventuale rilascio del tìtolo abilitativo edilizio in sanatoria, appositamente previsto da questa legislazione. Non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia “di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità ” (sentenza, recte: ordinanza, n.d.r. Consulta Online] n. 327 del 2000, n. 149 dei 1999 [ordinanza, nr. Consulta Online] e n. 167 del 1989). Peraltro, la circostanza che il comune sia tito-lare di fondamentali poteri di gestione e dì controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiché, come questa Corte ha affermato, il giudice penale non ha competenza ‘istituzionale’ per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici ” (sentenza n. 370 del 1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettività a tale scelta. Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell’evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello Menale e quello amministrativo” (cfr., negli esatti termini, Corte Costituzionale, sent. n. 196/2004 cit). C)- L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA ESENZIONE DELLA PUNIBILITÀ PENALE E LA SUA MAGGIORE ESTENSIONE RISPETTO A QUELLA DELLA CD. «SANATORIA AMMINISTRATIVA» – La predetta sentenza costituzionale, nel distinguere tra «effetti dell’ordinamento penale» ed «effetti della sanatoria amministrativa», nell’ottica interpretativa dello ius superveniens, ha così acutamente delimitato i rispettivi ambiti, alla luce dell’articolo 39 della legge n. 47/1985, cui fa rinvio il comma 25 dell’articolo 32 del D.L n. 269/2003: “questa legislazione -rileva la Consulta- conferma quella che è una più generale caratteristica della legislazione sui condono, nella quale normalmente quest’ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilità che le procedure finalizzate ai conseguimento dell’esenzione dalla punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; ciò è reso d’altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell’art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell’intera oblazione} ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell’art 39 prevede che, ove si sia effettuata l’oblazione, si produca comunque l’estinzione dei reati anche ove “le opere non possano conseguire la sanatoria”. D)- L’ordinanza della Corte Costituzionale n, 56 dei 12 marzo 1998. Già con ordinanza del 12 marzo 1998, n. 56, la Corte Costituzionale aveva ritenuto che “il combinato disposto degli arti, 38, commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra gli effetti tassativi della oblazione e della concessione in sanatoria, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (purché non sia ancora intervenuta la completa ed integrale esecuzione)”. E)- La sentenza costituzionale n. 49 del 10 febbraio 2006- Ed ancora, con riferimento agli effetti della ed. «sanatoria amministrativa» che, come già ribadito dalla Consulta, opera su di un piano giuridico diverso da quello strettamente collegato alla ed. «sanzionabilità penale», la Corte Costituzionale, con la più recente sentenza n. 49 dei 2006, ha statuito che l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004 non è in contrasto con quanto previsto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto legge n. 269 del 2003, norma quest’ultima che, ove diversamente interpretata, renderebbe di fatto inapplicabile il condono edilizio nelle aree assoggettate a vincolo, nelle quali potrebbero essere sanati soltanto gli interventi edilizi c.d. «minori». La Consulta, viceversa, ha dichiarato costituzionalmente legittima la disposizione regionale censurata, giacché tale norma non fa altro che «recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto – legge n. 269 del 2003». Da tale lettura costituzionalmente orientata del comma 27, lettera d), dell’art. 32 D.L n. 269/2003 cit. è lecito arguire – in sintonia con la concorde inter-preta-zione del Giudice amministrativo – che non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilità, ma soltanto quelli di inedificabilità assoluta. A riscontro di tale opzione interpretativa, il T.A.R. Campania – Napoli, con sentenza n. 6182 del 22.3.2006, ha confermato che “la Corte ha avuto modo di chiarire, con riferimento agli abusi in aree vincolate, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge regionale della Lombardia, che la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995). Pertanto, secondo la norma statale, non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilità ma solo quelli di inedificabilità assoluta, quali, ad esempio, i vincoli di rispetto cimiteriale, i vincoli di rispetto stradale, i vincoli idrogeologici e quelli relativi alle zone omogenee A, Al ed FI del P.R.G. sempre, però, che io stesso risulti debitamente adottato, approvato e pubblicato e, pertanto, vigente” (cfr., TAR Campania, Sez. IV, 22 marzo 2006, n. 6182, ric. Galano, res. Comune Napoli). Lo stesso T.A.R., con sentenza n. 7417 dell’8 agosto 2007, con riferimento all’ambito di applicazione dell’istituto della sanatoria straordinaria di cui al D.L. n. 269/2003, in zona assoggettata – come nel caso in esame – a regime vincolistico, ha precisato che “la giurisprudenza della Sezione sul punto è nel senso della non sufficienza, sotto il profilo motivazionale, del solo richiamo alla esistenza di un regime vincolistico per il diniego della sanatoria edilizia introdotta dalla legislazione condonistica (cfr. ex multis, sent. n. 7050/2006). Infatti, in argomento, si devono richiamare ben tre disposizioni: l’art. 32 della legge 47/1985 (come novellato dalla L 326/2003), l’art. 33 della L. 47/1985 e l’art. 32, c. 27, l. 326/2003. Dalla combinata lettura delle stesse si trae, ad avviso del Tribunale, la seguente “gerarchia” applicativa:- vi sono opere sanabili costruite su aree sottoposte a vincolo, come recita la stessa intestazione dell’art. 32 L 47/1985: opere sanabili, subordinatamente alla acquisizione del parere favorevole della pubblica amministrazione); – vi sono opere insanabili ai sensi dell’art. 33 L 47/1985: non sono suscettibili di sanatoria le opere effettuate in zone vincolate (ex plurimis: vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici: lett. a) dell’art 33), allorquando I vincoli imposti comportino l’inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse; – vi sono opere comunque non suscettibili di sanatoria, fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 32 della legge 28 febbraio 1985, qualora: (omissis) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (lettera d) del comma 27 dell’ari 32 cit.). Ne consegue, ad avviso del Tribunale, che la lettera d) appena richiamata ha un campo applicativo suo proprio e ben diversificato dagli articoli 32 e 33 della L. 47/1985. Riguarda, in sintesi, zone sottoposte a vincolo, che non comportano inedificabilità (altrimenti la disciplina normativa da richiamare sarebbe quella ex art. 33 L 47/1985), su cui, senza titolo edilizio, sono state costruite opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. La non conformità alla strumentazione urbanistica diviene quindi elemento nodale per questa particolare insanabilità. In altri termini, non è solo la presenza del vincolo a rendere l’opera insanabile, altrimenti all’art 32 L nr. 47/1985 non residuerebbe operatività. Deve sussistere, dunque, sia la sussistenza di un vincolo (non di edificabilità, altrimenti si ricade nell’art 33 L. 47/1985), sia la non conformità alla pianificazione: sintomatico del rilievo di quest’ultima è dato dalla coeva modifica dell’art 27 del T.U. nr. 380/2001 (ai sensi del comma 45 e 46 dell’art. 32 L 326/2003) In cui si sono previsti gli immediati provvedimenti demolitori dirigenziali anche, appunto, ove sia riscontata la difformità dalle norme di pianificazione. Nel caso in esame, si deve sottolineare come l’intero territorio di Pozzuoli sia stato sottoposto, con il D.M. dei 1957, al vincolo, paesaggistico ex lege nr. 1497/1939 (Cfr., Cass. SS.UU. penale 3.10.1995, n. 3261). Siamo perciò in presenza di un vincolo superabile ai fini della sanatoria, ex art. 32 L. nr. 47/1985: ne consegue che l’amministrazione non poteva limitarsi a richiamare l’art. 32 co. 27 L. nr. 326/2003 in assenza di rimando specifico anche alla contrarietà della pianificazione edilizio-urbanistìca. Il solo rinvio alla sussistenza del vincolo paesaggistico, così come espresso nel provvedimento impugnato, rende pertanto fondato il relativo motivo di gravame” (T.A.R. Campania, VI sez., 8 agosto 2007, n. 7417, Del Gore Luigi c. Comune di Pozzuoli). 2.- LA VIOLAZIONE DEL CANONE DI RAGIONEVOLEZZA (ART. 3 COST.) ED IL CONTRASTO CON GLI ARTICOLI 42, 81, 117 E 119 DELLA COSTITUZIONE. 2.1 – La violazione del canone di ragionevolezza – Alla luce dei rilievi del Giudice delle Leggi, reputa il Tribunale di ravvisare, nella fattispecie, lo schema “ternario” necessario presupposto del giudizio di ragionevolezza, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione. Il giudizio di legittimità costituzionale assume, in tal caso, non tanto i caratteri di un controllo negativo sull’assenza di contrasto tra legge e Costituzione, quanto, piuttosto, quelli di un riscontro positivo circa la sussistenza di quella dose minima di adeguatezza, congruenza e proporzionalità rispetto al fatto (in una parola, di ragionevolezza) che la scelta positiva deve incorporare per essere considerata come legittimo esercizio della funzione legislativa. A tale proposito il Giudice delle Leggi ha sviluppato, attraverso la formula della ragionevolezza, forme «non invasive» di controllo che consentano di scrutinare le scelte effettuate dal legislatore, non solo nella loro astratta conformità ad un ordine superiore ed esterno (Costituzione), ma nella loro corrispondenza ad un’idea di interna razionalità e plausibilità, sia sul piano strumentale che su quello sistematico. Gli strumenti tipici del sindacato di ragionevolezza consistono, pertanto, in argomenti di razionalità sistematica che si traducono in un giudizio di coerenza, in relazione a riferimenti valutativi ricavati dalla logica degli istituti, volto ad assicurare l’innesto della disciplina legislativa in un tessuto normativo privo di contraddizioni. Nel caso in esame, non pare che la salvaguardia della discrezionalità legislativa possa esimere il Tribunale dal valutare se nel diritto vivente formatosi sull’art. 32, comma 26, del D.L. n. 269 del 2003 vi sia una manifesta opzione interpretativa che abbia vulnerato il canone della razionalità. Alla stregua delle argomentazioni innanzi svolte e soprattutto tenuto conto dell’insegnamento della Corte Costituzionale in materia, ritiene questo Tribunale che il legislatore non avrebbe avuto necessità di predisporre un così complesso procedimento per l’acquisizione del parere paesistico, ove la sua intenzione fosse stata effettivamente quella -come ritenuto dal «diritto vivente- di escludere sempre, in ogni caso, la possibilità dì sanatoria per le opere di cui alle tipologie n. l, n. 2 e n. 3, nelle zone assoggettate a vincolo. Tale articolato “corpus” normativo, in aderenza al principio di non aggravamento dei procedimenti amministrativi, non era di certo richiesto per sanare le sole tipologie n. 4, n. 5 e n. 6, cui, peraltro, la vigente legislazione già ricollega un’autonoma possibilità di legittimazione, sia “ex ante” (art. 149 D.Lgs. n. 42/04) sta “ex post”, attraverso il ed. «accertamento di compatibilità paesaggistica» previsto dall’art. 167 D.Lgs. n. 42/04, relativamente alle opere di natura manutentiva, nonché a quelle che non abbiano, in concreto, determinato incrementi planovolumetrici. In dottrina, infatti, è stato sollevato, anche sul punto, un duplice interrogativo, che il Tribunale fa proprio. Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l’obbligo della acquisizione del preventivo parere per colui che non abbia incrementato in alcun modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se ciò è esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato incrementi sia di altezza che di volumetria, ancorché contenuta nel limite del 2%. Il secondo, che risulta molto più rilevante, riguarda la circostanza di come possa conciliarsi una disposizione che prevede che siano ammessi a condono edilizio abusi che abbiano comportato innovazioni plano volumetriche nelle zone assoggettate a vincolo, con esclusione perfino dell’obbligo dei parere paesaggistico, con l’affermazione secondo cui l’intero contesto normativo escluderebbe l’applicabilità del condono agli abusi riconducibili alle tipologie n. l, n. 2 e n. 3, ed eseguiti nelle zone assoggettate a vincolo paesistico. L’incoerenza logica della tesi sostenuta dal «diritto vivente» è dimostrata, a ben vedere, dai precedenti insegnamenti della stessa Corte Suprema di Cassazione, anche a Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, Cass. SS. UU. n. 22 dei 1999), che aveva escluso la possibilità di porre sullo stesso piano gli effetti penali ed amministrativi del condono. Peraltro, come dinanzi sottolineato ed in conformità al riferito orientamento dottrinario, con la sentenza n. 196 del 2004 la Corte Costituzionale aveva precisato l’esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono “si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta, il che è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, con una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni”. Sempre con la ricordata sentenza n. 196/2004, la Corte Costituzionale aveva rimarcato con maggior vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra effetti amministrativi ed effetti penati della sanatoria, chiarendo, altresì, come permanga anche con il nuovo condono edilizio “ter” la caratteristica^ fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in quanto l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37, del D.L. n. 269 del 2003). Peraltro, ciò non esclude che, pagata interamente l’oblazione, ai sensi dell’art. 39 della Legge n. 47 del 1985 (applicabile – come gli artt. 38 e 44 – in virtù del richiamo operato dal comma 25 dell’art. 32 cit. agli interi capi IV e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all’oblazione versata le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro. In altri termini, il potere del giudice penate di non applicare la speciale causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) può essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo. A tali fini, come si è visto, persino il diniego di sanatoria della P.A. rappresenta un elemento neutro e del tutto inidoneo a determinare l’esclusione della operatività della causa estintiva, ricollegata – lo si ripete – al solo pagamento dell’oblazione in misura congrua secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985. Del resto, sempre sul versante amministrativo, il diritto vivente non spiega perché nelle aree vincolate maggiormente “sensibili”, come quelle demaniali, sulle quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art. 32, comma 17) si sia accontentato di subordinare la disponibilità alla cessione dell’area al solo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perché rimuovibile ad opera della competente autorità, e non assoluto). Né appare di rilievo la circostanza addotta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 6431/2007, per la quale “tale disposizione, riferita alle opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, è significativamente limitata dall’esclusione (posta dal precedente comma 14) del demanio marittimo lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege)”, dovendosi tener conto “dell’ampia nozione di vincolo” che l’art. 32 della legge n. 47/1985 presuppone. Anche qui la norma – nel prevedere una fattispecie di sanatoria a condizione – è sufficientemente chiara e non può essere manipolata con interpretazioni additive in malam partem, contro o praeter legem. Non spiega, infatti, il diritto vivente perché il controverso comma 26 arrivi a ritagliare un’eccezione all’ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria per i soli abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale, omettendo di menzionarne altri. La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte) le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della Legge n. 47/1985. La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere nuove senza titolo edilizio o in difformità, in contrasto con gli strumenti urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo o in difformità dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico – artistico ai quali si riferisce il comma 27, lettera e). Secondo il richiamato canone di ragionevolezza, il legislatore non avrebbe avuto alcuna necessità -ove la disposizione del comma 26 fosse effettivamente da interpretare, come ritenuto dal diritto vivente, nel senso che nelle aree vincolate sono sanabili solo gli interventi edilizi “minori”- di collegare agli abusi “maggiori” le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento nazionale, per giunta vincolati “in individuo”. E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 32 della Legge n. 47 del 1985. Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in effetti è avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata dimostrazione della conformità delle opere alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l’insanabilità delle opere per le quali è stato richiesto il beneficio del condono. La sentenza della Corte Costituzionale n. 49 sembra rafforzare – sul piano interpretativo – il convincimento di chi, come questo giudice, ritiene, in aderenza al suesposto orientamento dottrinario, che l’unico parametro normativo da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo sia rappresentato non già dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del D.L. n. 269 del 2003. La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26 ma, anzi, finisce per offrire una lettura più ampia dello stesso comma 27, lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di Inedificabilità assoluta e non anche quelli di inedificabilità relativa possano essere considerati ostativi alla sanabilità. In altri termini, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, le opere abusive potranno essere sanate, secondo l’insegnamento del Giudice delle Leggi, laddove si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella formulazione introdotta dal comma 43 del decreto – legge n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la Soprintendenza territorialmente competente, il cui parere è vincolante). A tale conclusione osta, tuttavia, il difforme indirizzo del giudice di legittimità. 2.2 – Il contrasto con gli articoli 42. 81. 117 e 119 della Costituzione – Ad avviso di questo Tribunale, la rigida interpretazione -da parte del diritto vivente- del comma 26, oltre a porsi in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto l’illogica restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporta la violazione del principio di uguaglianza, si pone in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettera L) Cost., relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceve nell’intero territorio nazionale, per effetto dell’applicazione – conforme al “diritto vivente” – della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario, a seconda della natura vincolata o meno dell’area oggetto dell’intervento e, per giunta, senza distinguere tra vincolo di inedificabilità relativa e vincolo di inedificabilità assoluta, come -viceversa- ritenuto decisivo dalla Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 49 del 2006. L’interpretazione restrittiva in malam partem del diritto vivente si discosta, inoltre, dall’art. 32, comma 25, del D.L. n. 269 del 2003 e, pertanto, riducendo irrazionalmente l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio, contrasta anche con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto riduce il gettito finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva (“rapporti dello Stato con l’Unione Europea”, “moneta”) e concorrente (“coordinamento della finanza pubblica”). La suddetta interpretazione fornita dal diritto vivente vulnera, altresì, l’art. 81 Cost. in quanto ha effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che fanno affidamento sul gettito del condono edilizio, determinando un’indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del paese nel suo insieme. La contestata interpretazione della norma in questione genera, infine, radicali incertezze in ordine agli effetti dell’oblazione corrisposta per la sanatoria delle opere abusive, con ciò vulnerando, sotto ulteriore profilo, sia l’art. 3 (canone di ragionevolezza) che l’art. 42 Cost.. LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ARTICOLO 32, COMMA 26. DEL D.L. N. 269/2003, CONVERTITO NELLA L. N. 326 DEL 2003. 1.- Nella fattispecie, la prospettata questione di legittimità costituzionale è, altresì, rilevante, in quanto l’ingiunzione di demolizione è stata emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nonostante ciascuno dei 140 ricorrenti abbia presentato istanza di condono edilizio, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito nella L. n. 326/03, corredata dì pagamento dell’oblazione autodeterminata, ritenuta congrua dai rispettivi uffici tecnici comunali, con apposita certificazione acquisita agli atti e, secondo l’interpretazione fornita dal diritto vivente, ciascuno degli incidenti di esecuzione dovrebbe essere rigettato da questo Tribunale, ritenendo -sempre secondo il diritto vivente – che anche nelle aree soggette a vincolo di inedificabilità relativa (come sono le zone in cui ciascuno dei 140 ricorrenti ha realizzato le opere oggetto dell’invocato condono ter) risulta preclusa l’applicabilità del predetto condono edilizio. 2.- Pertanto, qualora questo Tribunale dovesse aderire alla rigida opzione ermeneutica fornita dal diritto vivente, al rigetto dei 140 incidenti di esecuzione conseguirebbe un pregiudizio (la demolizione di 140 immobili), da reputarsi irreparabile per gli esecutati in caso di (verosimile) accoglimento della domanda di sanatoria edilizia da parte dei rispettivi Comuni, che già hanno formulato una prognosi favorevole, certificando la congruità delle oblazioni versate da ciascuno dei 140 ricorrenti. 3.- Infatti, proprio sulla tematica del significato giuridico della oblazione e delle ricadute sull’ordine giudiziale di demolizione si sono registrate pronunce difformi da parte del giudice di legittimità, la cui giurisprudenza, sul punto, non sempre è stata perspicua e sistematicamente coerente, né logicamente uniforme. 3.1. GLI ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE – Secondo un primo orientamento (Sez. III, sentenza n. 228 del 24 marzo 1993, Farinelli) ed in virtù di quanto previsto dall’art. 6 del D.L. n. 2 del 1988, l’oblazione estingue i reati di cui all’art. 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64, nonché i procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative. “Nel sistema delle cause estintive, una volta intervenuta la condanna irrevocabile, la causa estintiva del reato (“rectius” della punibilità) degrada a causa estintiva della pena (“rectius” della esecuzione della pena) e a causa estintiva degli effetti penali e di quelli amministrativi, se ciò è espressamente disposto. Così avviene per la morte del reo, che prima della condanna estingue il reato (art. 150 c.p.); dopo la condanna estingue la pena (art. 171 c.p.). Così avviene per l’amnistia, che prima della condanna estingue il reato; dopo la condanna estingue la pena, cioè “fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie” (art. 151 c.p.). Così avviene, infine, per l’oblazione “de qua”, che prima della condanna estingue il reato; e dopo la condanna, fa cessare l’esecuzione delle pene (ex art. 2 c.p.) e quella delle sanzioni amministrative (ex art. 6 D.L. citato). E’ appena il caso di notare che una siffatta decisione non è fondata su una applicazione analogica della disciplina di altre cause estintive, ma piuttosto su una interpretazione letterale e logica della disciplina speciale della oblazione edilizia”. “A questa conclusione non si può opporre (…) la norma dell’art. 183, comma 1, c.p., secondo la quale le cause di estinzione operano nel momento in cui esse intervengono. Le norme dell’art. 183 c.p. sono chiaramente dettate per disciplinare gli effetti del concorso simultaneo o della successione temporale di più cause estintive (“concorso di cause estintive” recita, infatti, la relativa rubrica). La disposizione di cui al primo comma, statuendo che le cause estintive hanno effetto nel momento in cui intervengono e non in quello della loro declaratoria giurisdizionale (che ha perciò natura dichiarativa e non costitutiva), non ha affatto escluso la loro operatività su fatti pregressi (che anzi è in re ipsa); ha inteso piuttosto dettare un criterio generale, di natura cronologica, per regolare il concorso successivo delle cause estintive; criterio che è, peraltro, derogato dalla disposizione del secondo comma, secondo cui la causa che estingue il reato prevale su quella che estingue la pena, anche se è intervenuta successivamente (la priorità cronologica cede in questo caso alla maggiore “efficacia”, estintiva)” [in senso analogo, cfr. Cass., Sez. III, 15 gennaio 1997, n. 4065, Ilardi, e Cass. SS.UU., 12 ottobre 1993, Pulerà). A tale orientamento se ne contrappone un altro, secondo cui “in tema di condono edilizio di opere abusive, la sola determinazione, da parte dell’amministrazione comunale competente dell’importo dell’oblazione dovuta non è idonea a determinare effetti, in sede di esecuzione, sull’ordine di demolizione disposto dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, atteso che soltanto con il rilascio della concessione sorge, da parte del giudice dell’esecuzione, l’obbligo di verifica della legittimità della stessa e di compatibilità del manufatto con gli strumenti urbanistici, alfine della eventuale non esecuzione dell’ordine di demolizione” (così Cass., Sez. III, sentenza n. 5676 del 14 dicembre 2001, Martino; negli stessi sensi, Cass., Sez. III, 11 settembre 2007). Secondo l’indirizzo ora citato, la speciale normativa sulla sanatoria straordinaria non prevede alcuna estinzione della pena nell’ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari effetti stabiliti dall’art. 38, 3″ comma, della legge n. 47 del 1985 (annotazione dell’oblazione nel casellario giudiziale e irrilevanza della condanna ai fini dell’applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena). Effetti estintivi della pena e della sua esecuzione non possano farsi derivare né da una volontà implicita del legislatore, orientata, invece, nel senso di limitare: l’efficacia estintiva del condono edilizio fino alla sentenza definitiva (Cass. Sez. III, 27 novembre 1998, n. 3196, Sacchetti; 15 marzo 1996, n. 1110, Nastro; 15 febbraio 1996, Vanacore), né dalla normativa stabilita dal codice di rito in tema di estinzione del reato o della pena in sede esecutiva, poiché gli articoli 672 e 673 c.p.p. concernono ipotesi ben individuate (amnistia, indulto ed oblazione del reato), mentre l’art. 676, 1° comma, c.p.p. attiene a fattispecie fra le quali non è possibile ricomprendere la presentazione della domanda di rilascio di concessione in sanatoria, in base al capo IV della legge n. 47 del 1985, ed il versamento dell’oblazione dovuta. Eppure, con sentenza della medesima Sezione III n. 10512 del 15 ottobre 1997, Mazzola, la Corte di Cassazione, in ordine alla argomentazione secondo cui la estinzione dei reato urbanistico prevista nel capo IV della legge n. 47 del 1985 presuppone un atto amministrativo (la concessione in sanatoria rilasciata dal Comune), aveva cosi statuito: “Tale argomentazione ignora la distinzione tra il profilo amministrativo e quello penale del cosiddetto condono edilizio, quale risulta evidente dalla interpretazione sistematica della disciplina contenuta nel capo IV della legge 28.2.1985 n. 47, e in particolare dalla interpretazione letterale e logica dell’art. 39 della stessa legge. Sul punto non sempre la giurisprudenza è stata perspicua e sistematicamente coerente, né logicamente uniforme; sicché appare opportuno riassumere – sia pure sinteticamente – il significato della normativa vigente. Soprattutto per ragioni fiscali, il legislatore ha emanato due condoni edilizi alfine di sanare amministrativamente gli abusi edilizi commessi entro il 1.10.1983 (art. 31 legge 47-1985) ed entro il 31.12.1993 (art. 39 legge 23.12.1993 n. 724), nonché alfine di estinguere i relativi reati, contro il versamento di una oblazione legislativamente determinata in base a vari parametri (tipo di abuso, tempo di ultimazione dell’opera, qualità personale del contravventore nella veste di proprietario, committente o direttore dei lavori, utilizzazione dell’edificio abusivo come prima abitazione del richiedente e condizioni reddituali e di disagio abitativo dello stesso richiedente, ecc.). Sotto il profilo penale, il legislatore ha stabilito che l’imputato il quale abbia presentato istanza di sanatoria nei termini perentori prescritti dalla legge e abbia versato tempestivamente le somme richieste a titolo di oblazione, ha diritto alla estinzione del reato urbanistico, di cui all’art. 20 legge 47-1985, nonché alla estinzione dei reati edilizi e sanitari connessi, di cui alla legge 1086-1971, alla legge 64-1974 e all’art. 221 del R.D. 1265 del 1934 (primo e secondo comma dell’art. 38 legge 47-1985). Naturalmente è anche necessario che l’abuso sia stato ultimato nel termine previsto e che la domanda di sanatoria si riferisca puntualmente all’immobile abusivo contestato nel capo di imputazione. Nella disciplina dell’ultimo condono, in base al citato art. 39 della legge 724-1994, ulteriore condizione richiesta per l’estinzione dei reati (oltre che per la sanatoria amministrativa) è che l’abuso edilizio non superi determinati limiti volumetrici. Sotto il profilo amministrativo, il legislatore ha stabilito che, dopo che il proprietario o qualsiasi interessato abbia presentato tempestiva domanda per la sanatoria dell’abuso ultimato nel termine previsto e dopo che abbia versato l’importo definitivamente determinato per l’oblazione, il sindaco deve rilasciare la concessione in sanatoria, salvo il versamento degli oneri concessori dovuti e l’obbligo di presentare la documentazione necessaria per l’accatastamento (art. 35, comma 15 legge 47-1985). Trascorso un determinato periodo senza che intervenga un provvedimento negativo, la concessione in sanatoria si intende rilasciata in modo tacito (comma 18 dei citato art. 35 e comma 4 dell’art. 39 legge 724-1994). Viene anche rilasciato il certificato di abitabilità o di agibilità dell’edificio abusivo sanato, anche in deroga ai requisiti regolamentari (comma 20 art. 35 citato). Tuttavia, qualora la domanda presentata contenga affermazioni dolosamente infedeli, sicché la oblazione sia determinata in modo non veritiero, la sanatoria non può essere concessa e l’abuso resta soggetto alle sanzioni amministrative previste nel capo I della legge 47-1985 {art, 40, primo comma, legge 47-1985 e art. 39, comma 4, legge 724-1994). La stessa conseguenza si verifica se le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 legge 47-1985, perché contrastanti con determinati vincoli di inedificabilità assoluta. Per la verità, le norme ora citate, in caso di insanabilità oggettiva e soggettiva dell’abuso, dispongono l’applicazione di tutte le sanzioni previste nel predetto capo I della legge, e quindi anche delle sanzioni penali. Ma bisogna tener presente al riguardo la disposizione dell’art. 39 della legge 47-1985, secondo cui qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, l’effettuazione della oblazione estingue I reati contravvenzionali indicati nell’art. 38. Se ne deve concludere che quando la domanda di sanatoria non può essere accolta, l’abuso amministrativo resta, ma l’illecito penale viene estinto quando l’imputato abbia versato l’intero importo dell’oblazione, congruamente e fedelmente determinato. 4 – Da questo articolato sistema normativo deriva evidentemente che l’estinzione dei reati urbanistici ed edilizi non presuppone necessariamente la formazione di un atto amministrativo di sanatoria, né espresso né tacito. Presuppone soltanto una regolare domanda di sanatoria e il versamento completo dell’oblazione da parte dell’imputato ovvero da parte di un comproprietario dell’immobile abusivo, anche se non coimputato (in virtù del disposto del secondo comma, ultimo periodo, dell’art. 38 legge 47-1985). 5 – Ulteriore conseguenza che ne deriva è che il giudice penale, per dichiarare l’estinzione dei reati, deve verificare solo i presupposti legali dell’oblazione speciale come sopra disciplinata; mentre spetta alla autorità comunale competente accertare tutte condizioni stabilite dalla legge per la concessione in sanatoria. Più in particolare spetta al giudice penale verificare i presupposti temporali, personali e oggettivi della disciplina sulla oblazione speciale, cioè a) la tempestività della domanda; b) la riferibilità della domanda agli imputati o ai comproprietari dell’immobile abusivo ex art. 38 legge 47-1985; e) la rìferibilità della domanda all’immobile abusivo contestato nel capo di imputazione; d) la ultimazione dei lavori entro il termine di legge; infine per il condono disciplinato da ultimo con l’art. 39 della legge 724-1994, e) i requisiti volumetrici dell’immobile costruito, il giudice penale deve anche verificare f) la congruità quantitativa dell’oblazione versata: solo che in questo caso, se può accertare direttamente l’entità delle somme versate, attraverso le (copie delle) ricevute di versamento, non può direttamente verificare la congruità delle stesse rispetto ai parametri previsti, giacché molti di questi sono conosciuti solo dall’autorità comunale (basti pensare ad esempio all’esistenza dì convenzioni stipulate con il comune per la applicazione di prezzi di vendita o di canoni di locazione determinati, che costituisce titolo per la riduzione dell’oblazione al 50%; ovvero alla utilizzazione dell’edificio abusivo come prima abitazione del richiedente, che è titolo per la riduzione di un terzo: commi terzo e quarto dell’art. 34 legge 47-1985) e giacché – coerentemente – la legge attribuisce al sindaco il compito di determinare in via definitiva l’importo dell’oblazione (comma 15 dell’art. 35 legge 47-1985). Quest’ultima verifica, quindi, è compiuta dal giudice penale solo indirettamente, attraverso l’acquisizione del certificato di congruità rilasciato dal sindaco competente. . Deriva infine dal sistema normativo come sopra riassunto che il giudice penale, per dichiarare la estinzione dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare l’inesistenza dì cause ostative alla sanatoria amministrativa, appunto per il disposto dell’art. 39 legge 47-1985, che dispone la estinzione dei reati contravvenzionali (anche) quando le opere abusive non possono essere sanate. In particolare, non rileva ai fini penali la insanabilità assoluta di opere soggette a vincoli determinati, di cui all’art. 33 legge 47-1985, come modificato dal ventesimo comma dell’art. 39 legge 724-1994; così come non rileva la sanabilità condizionata delle opere costruite in aree vincolate, di cui all’art. 32 legge 47-1985, che è subordinata al parere favorevole delle amministrazioni preposte al vincolo. Quanto alla insanabilità delle opere per cui è stata presentata domanda dolosamente infedele, di cui all’art. 40, primo comma, legge 47-1985, il rilievo penale deriva solo dal fatto che la infedeltà della domanda può influire sulla congruità della oblazione. In altri termini, il giudice penale, alfine di dichiarare la estinzione per oblazione speciale dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare né l’inesistenza di una causa di insanabilità assoluta di cui all’art. 33 legge 47-1985, né l’inesistenza di una causa di insanabilità relativa di cui all’art. 32 della stessa legge. Infine, non deve neppure accertare che la domanda di sanatoria non sia dolosamente infedele, giacché questo accertamento è implicitamente contenuto nella certificazione che il sindaco rilascia circa la congruità della oblazione versata”. Va, ancora, segnalato, sul punto, il recente arresto di Cass., Sez. III penale, n. 10209 del 2 febbraio 2006, che ha affermato che, in materia edilizia, la dichiarazione di estinzione de! reato di costruzione abusiva produce automaticamente l’inefficacia dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva, indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione nella sua accessorietà ad una sentenza di condanna. 3.2. IL CONTRARIO ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE – Come dinanzi ricordato, con la sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 il Giudice delle Leggi, in senso difforme dal diritto vivente, ha precisato che “l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto per l’estinzione dei reati edilizi, e-stingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (cfr. art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985) e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (commi 32 e 37 dell’art. 32 in questione); ancora, l’oblazione interamente corrisposta costituisce condizione perché la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative, “ivi comprese le pene, pecuniarie e le sovrattasse previste per le violazioni delle disposizioni in materia di imposte sui redditi relativamente ai fabbricati abusivamente eseguiti (cfr., art. 38, quarto comma, della legge n. 47 del 1985). Ciò non esclude, peraltro, che – ove sia stata effettuata l’oblazione – pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguono i reati edilizi e le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di denaro siano “ridotte in misura corrispondente all’oblazione versata (art. 39 della legge n. 47 del 1985”. Sempre la Corte Costituzionale, con ordinanza del 12 marzo 1998, n. 56, aveva ritenuto che “il combinato disposto degli artt. 38, commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra gli effetti tassativi della oblazione e della concessione in sanatoria, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (perché non sia ancora intervenuta la completa ed integrale esecuzione”). CONCLUSIONI Per concludere sul punto, il non sempre univoco (e poco chiaro) orientamento della Corte di Cassazione in materia dì oblazione collegata al condono edilizio la cui atipicità è stata evidenziata dalla Corte Costituzionale già con sentenza n. 369 del 31 marzo 1988), da un lato, e la rigida interpretazione “additiva” -ad opera della Corte di Cassazione- del comma 26 del D.L. n. 269 del 2003, dall’altro, hanno determinato nel diritto vivente dissonanze interpretative ed applicative che minano alla base il principio di ragionevolezza, con ciò violando, anche sotto i denunziati profili, l’art. 3 Cost., oltre all’art. 42 Cost. sopra citato, per il “vulnus” arrecato alta garanzia costituzionale della proprietà, a causa della impossibilità, per il giudice, di provvedere alla revoca dell’ordine di demolizione per opere realizzate in zona assoggettata a vincolo paesistico pur in presenza di regolare presentazione di domanda di condono e di pagamento dell’oblazione in misura che l’Autorità comunale ha certificato essere congrua. Per tutte le ragioni esposte in motivazione, questo giudice ritiene che la dedotta questione di legittimità costituzionale sia non manifestamente infondata e, altresì, rilevante, atteso che la decisione del proposto incidente di esecuzione si fonda proprio sulla interpretazione, in ciascuna delle fattispecie in esame, del comma 26 dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003. La predetta norma va, pertanto, sottoposta a scrutinio di costituzionalità per le implicazioni che la stessa determina sulla ammissibilità del “terzo condono” per le nuove costruzioni realizzate in zona assoggettata a vincolo paesistico e sulla possibilità di procedere alla revoca dell’ordine giudiziale di demolizione, tenuto anche conto della favorevole determinazione, da parte di ciascun delle amministrazioni comunali interessate, dell’importo dell’oblazione dovuta. P.Q.M. ‘Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di legittimità costituzionale del comma 26, lettera a), dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, per contrasto con gli articoli 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede, secondo il diritto vivente, che nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito indicate ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. SOSPENDE il presente giudizio, nonché tutte le ingiunzioni di demolizione che ne costituiscono l’oggetto, ed ORDINA la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. ORDINA che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata a ciascuno dei condannati, indicati nella colonna n. 3 della surrìportata tabella, ai difensori rispettivamente indicati nella colonna 4 della surrìportata tabella, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata, infine, ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Così deciso in Ischia, nelle camere dì consiglio del 14.4.2008 (dal n. 1 al n. 7 della tabella), del 24-4.2008 (dal n. 8 al n. 27 della tabella), del 21.5.2008 (dal n. 28 al n. 32 della tabella), dell’11.6.2008 (dal n. 33 al n. 75 della tabella) e del 12.6.2008 (dal n. 76 al n. 140 della tabella).