20.04.2006 Sanatoria edilizia straordinaria e principi costituzionali
SANATORIA EDILIZIA STRAORDINARIA E PRINCIPI COSTITUZIONALI
ANCORA SULLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 49 DEL 2006
UN MONITO PER LA CASSAZIONE ?
SOMMARIO: 1. I PRINCIPI AFFERMATI DALLA CORTE CON RINVIO AI PRECEDENTI (SENTENZE N. 196 DEL 2004 E NN. 70 E 71 DEL 2005). 2. L’AMPIO POTERE DISCREZIONALE DELLE REGIONI NEL DEFINIRE I CONFINI ENTRO CUI MODULARE GLI EFFETTI, SUL VERSANTE AMMINISTRATIVO, DEL CONDONO EDILIZIO STRAORDINARIO: NON E’ IRRAGIONEVOLE SUBORDINARE LA SANABILITA’ DELLE OPERE ALL’ULTERIORE CONDIZIONE CHE IL CONTRAVVENTORE NON ABBIA GIÀ BENEFICIATO DI ALTRI CONDONI. 3. L’INAMMISSIBILITA’ DI UN CONDONO TOMBALE “OPE LEGIS” E, PER GIUNTA, GRATUITO. 4. LA LETTURA “AMPLIATIVA” E COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART. 32, COMMA 27, LETT. D), DEL D.L. N. 269 DEL 2003 PER GLI ABUSI SU IMMOBILI VINCOLATI: UN MONITO PER LA CASSAZIONE? 5. LE ALTRE NOVITA’ EMERSE DALLA SENTENZA N. 49 DEL 2006. 6. IL RAFFRONTO CON LA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI N. 2699 DEL 2005 (SUL SUPERAMENTO DELLE VOLUMETRIE MASSIME E SULLO “SCORPORO” – DI DUBBIA COSTITUZIONALITA’ – DELLE OPERE ECCEDENTI I 3000 METRI CUBI). 7. LE ESIGENZE DI CASSA E I VINCOLI EUROPEI SULLA SPESA PUBBLICA NON CONDIZIONANO L’AUTONOMIA LEGISLATIVA DELLE REGIONI.
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1. I PRINCIPI AFFERMATI DALLA CORTE CON RINVIO AI PRECEDENTI (SENTENZE N. 196 DEL 2004 E NN. 70 E 71 DEL 2005).
Con la sentenza che si annota, la Corte, preso atto che le questioni di costituzionalità sollevate dal Presidente del Consiglio dei Ministri contro numerose disposizioni di sette leggi regionali (dell’Emilia Romagna, n. 23 del 2004, della Toscana, n. 53 del 2004, delle Marche, n. 23 del 2004, della Lombardia, n. 31 del 2004, del Veneto, n. 21/2004, dell’Umbria, n. 21 del 2004, e della Campania, n. 10 del 2004) sottoposte al suo sindacato erano, in larga parte, fondate su differenziate, se non contrapposte, interpretazioni della giurisprudenza della stessa Corte in ordine all’ambito di applicazione del nuovo condono edilizio, prima di addentrarsi nell’esame del merito delle censure ha avvertito la necessità di richiamare alcuni suoi fondamentali insegnamenti.
Dopo aver ricordato che, nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario, convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato, per quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilità penale e alcuni limitati contenuti di principio (come quelli, ad esempio, relativi alla previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, al limite temporale di realizzazione delle opere e alla determinazione delle volumetrie massime condonabili), e la competenza legislativa di tipo concorrente delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di “governo del territorio”, di “valorizzazione dei beni culturali ed ambientali” e nelle altre materie riconducibili al quarto comma dell’art. 117 Cost., la Consulta ha stabilito, in linea con quanto già evidenziato, sul punto, nella precedente sentenza n. 196 del 2004, che per tutti i restanti profili è, invece, necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale sul versante amministrativo della sanatoria (paragrafo 20 del “Considerato in diritto”).
D’altra parte – ha aggiunto la Corte – le censure relative all’adozione di un nuovo condono straordinario, sempre nella sentenza n. 196 del 2004, sono state dichiarate infondate in relazione alla presunta violazione del principio di ragionevolezza (a causa dell’asserita mancanza di circostanze eccezionali che potessero giustificare la ulteriore reiterazione di un provvedimento certamente lesivo della certezza del diritto), solo perché è stato possibile attribuire al comma 2 dell’art. 32 del citato decreto – legge n. 269 del 2003 il significato di individuare la giustificazione del condono da esso previsto << nelle contingenze particolari della recente entrata in vigore del nuovo titolo V della seconda parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio >>.
E’ stata così pronunziata dichiarazione di illegittimità costituzionale in relazione al << comma 25 dell’art. 32 nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione >>.
E’ utile sottolineare che, con le successive decisioni nn. 70 e 71 del 2005, la Corte aveva, altresì, precisato che ciò che esula dalla potestà delle Regioni è << il potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale >> e che, << a seguito della citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto – legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere e delle volumetrie massime sanabili >>.
Sulla base di tali principi e dei confini così delineati tra competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale, la Corte ha esaminato nel merito le varie censure prospettate nei ricorsi dell’amministrazione statale.
Il risultato è stato che talune disposizioni delle leggi dell’Emilia Romagna e delle Marche sono state dichiarate costituzionalmente illegittime, nel mentre per la Lombardia, il Veneto, la Toscana e l’Umbria lo scrutinio di legittimità costituzionale si è rilevato, invece, positivo.
Tralasciando il caso della Campania (già oggetto di un mio precedente contributo), la cui legge n. 10 del 2004 è stata, in gran parte, dichiarata costituzionalmente illegittima perché intervenuta fuori tempo massimo, ovvero oltre il termine di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto – legge n. 168 del 2004, così come convertito nella legge n. 191 del 2004, i principali punti di novità emersi dalla pronuncia della Corte sono quelli di seguito indicati sub 2, 3, 4, 5 e 7.
2. L’AMPIO POTERE DISCREZIONALE DELLE REGIONI NEL DEFINIRE I CONFINI ENTRO CUI MODULARE GLI EFFETTI, SUL VERSANTE AMMINISTRATIVO, DEL CONDONO EDILIZIO STRAORDINARIO: NON E’ IRRAGIONEVOLE SUBORDINARE LA SANABILITA’ DELLE OPERE ALL’ULTERIORE CONDIZIONE CHE IL CONTRAVVENTORE NON ABBIA GIÀ BENEFICIATO DI ALTRI CONDONI.
Accertato, come già detto, nella sentenza n. 196 del 2004, che è riconosciuto al legislatore regionale un ampio potere discrezionale nel definire i confini entro cui modulare gli effetti, sul versante amministrativo (“governo del territorio”), del condono edilizio straordinario, non è stato ritenuto irragionevole che una regione subordini, in concreto, la sanabilità delle opere all’ulteriore condizione che le stesse non abbiano beneficiato di precedenti condoni.
Così, ad esempio, aveva fatto la Regione Emilia Romagna (art. 32 legge n. 23 del 2004), la quale aveva aggiunto agli interventi non ammessi a sanatoria anche quelli realizzati su unità abitative già oggetto di condono ai sensi dei capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, o dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Analogamente, la Regione Umbria (art. 21, comma 1, lett. e, legge n. 21 del 2004) aveva escluso la sanabilità dell’ampliamento di edifici la cui “intera costruzione” avesse già beneficiato di “precedenti condoni edilizi”.
Va detto – per inciso – che anche la Campania, all’art. 4, comma 1, lett. d), della legge n. 11 del 2004, aveva vietato l’accesso alla sanatoria alle opere abusive in ampliamento di manufatto già oggetto di condono, se superiore al cinque per cento della volumetria della costruzione originaria.
Nel suo ricorso la Presidente del Consiglio dei Ministri ha eccepito che tali disposizioni violerebbero gli artt. 3, 42 e 117 Cost., poiché la previsione di ulteriori condizioni ostative all’ammissibilità della sanatoria contrasterebbe con la normativa statale di principio, con il principio di uguaglianza e con la disciplina costituzionale della proprietà privata, in quanto discriminerebbe gli attuali proprietari degli edifici in questione che potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai proprietari degli immobili all’epoca in cui essi sono stati realizzati. Inoltre, la discriminazione tra proprietà edilizie e relativi proprietari sarebbe invasiva della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile e penale.
La Corte ha ritenuto infondate tali censure, sul rilievo che << non costituisce irragionevole scelta legislativa la subordinazione da parte della Regione della condonabilità delle opere abusive alla ulteriore condizione che le stesse non abbiano già beneficiato di precedenti condoni, volendosi evidentemente in tal modo penalizzare la reiterazione di comportamenti illeciti >>.
Sul piano strettamente pratico, l’affermazione della Corte non è priva di conseguenze soprattutto per le regioni, come la Campania e la Sicilia, in cui l’abusivismo edilizio costituisce un fenomeno ampiamente diffuso tra i vari strati delle popolazioni, sicuramente più che in altre regioni d’Italia, e nelle quali, quasi sempre, chi ha beneficiato del terzo condono si è avvalso anche del secondo e non di rado anche del primo.
Queste ed altre regioni, ove, in futuro, dovesse essere ritenuta ammissibile (ma è da escludere) una ulteriore (l’ennesima) sanatoria straordinaria da parte dello Stato per chissà quali nuove, pressanti ed irrinunciabili esigenze finanziarie, magari in concomitanza con l’entrata in vigore di una nuova organica disciplina in materia edilizia, avrebbero la possibilità, alla luce dell’ultima decisione del giudice delle leggi, di vanificarne (quasi) del tutto gli effetti, perché sarebbe davvero difficile trovare qualcuno che non abbia beneficiato di precedenti condoni.
A meno di non voler sottilizzare, operando un distinguo tra chi abbia conseguito materialmente il condono e chi si sia solo limitato a farne richiesta senza ottenere il rilascio del titolo. Ma la “ratio” delle norme in discorso è – come sottolineato dalla Corte – quella di voler penalizzare la reiterazione di comportamenti illeciti, la qualcosa non è assolutamente irragionevole.
3. L’INAMMISSIBILITA’ DI UN CONDONO TOMBALE “OPE LEGIS” E, PER GIUNTA, GRATUITO.
Un condono “tombale”, “ope legis” e finanche gratuito, non è ammissibile, risolvendosi nella estensione – al di fuori dello schema procedimentale tipico – della sanatoria straordinaria ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto – legge n. 269 del 2003.
La Consulta, nell’affermare tale principio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia Romagna n. 23 del 2004, che aveva codificato una nuova fattispecie di condono automatico e senza il sinallagma della monetizzazione per le opere edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (norme per la edificabilità dei suoli), “che presentino difformità esecutive”.
La difesa regionale, in relazione alle censure dell’Avvocatura che aveva contestato l’effetto di ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa, aveva tentato di giustificare la disposizione, sostenendo che essa aveva ad oggetto “solo difformità esecutive lievi e risalenti nel tempo e mirava, comunque, ad assicurare la certezza del diritto e la facilità degli scambi privati”.
La Corte, nel ritenere fondate le censure dell’Avvocatura generale ha ribadito ancora una volta che le regioni non possono rimuovere i limiti massimi fissati dal legislatore statale, e che, tra i principi fondamentali cui esse devono attenersi, vi è proprio quello della previsione del titolo abilitativo in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato dalla normativa statale.
4. LA LETTURA “AMPLIATIVA” E COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART. 32, COMMA 27, LETT. D), DEL D.L. N. 269 DEL 2003 PER GLI ABUSI SU IMMOBILI VINCOLATI: UN MONITO PER LA CASSAZIONE ?
La sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995).
La Corte – ed è questa, a mio avviso, la novità maggiormente significativa – ha, infatti, ritenuto che l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3 del 2005 non sia in contrasto con quanto previsto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto legge n. 269 del 2003, norma quest’ultima che, secondo l’interpretazione ormai consolidata della Cassazione penale, renderebbe di fatto inapplicabile il condono edilizio nelle aree assoggettate a vincolo, nelle quali potrebbero essere, in sostanza, sanati soltanto gli interventi edilizi c.d. minori (riconducibili alle tipologie 4, 5 e 6, secondo quanto previsto anche dal comma 26).
Tralasciando per un momento l’interpretazione non condivisibile della Cassazione, sulla quale si ritornerà in seguito, soprattutto sul versante penalistico del condono (cfr, sul punto, analiticamente, A.P. Arturo. Il terzo condono edilizio e la Cassazione penale, in Altalex, n. 967 del 7 marzo 2005), quel che emerge dalla decisione in commento e che la Consulta giustifica ed anzi dichiara costituzionalmente legittima la disposizione regionale censurata, giacché, a suo avviso, tale norma si limita oggettivamente << a recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto – legge n. 269 del 2003 >>.
Eppure, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – con l’Avvocatura generale – aveva, nel ricorso introduttivo, fortemente sostenuto l’esatto contrario, denunciando il contrasto della disposizione censurata con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con il principio posto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto – legge n. 269, che << non consente la sanatoria delle opere realizzate su aree comunque vincolate >>, e senza che lo stesso operi una distinzione tra vincoli di inedificabilità assoluta e vincoli di inedificabilità relativa.
La norma regionale, << ove considerata esaustiva ed a sé stante rispetto alla legislazione statale e, dunque, interpretabile “a contrario”, nel senso di consentire un ampliamento della sanatoria >>, violava anche l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto invadeva l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale.
Solo in una successiva memoria, l’Avvocatura dello Stato aveva, peraltro, ritenuto coerente con la normativa statale l’interpretazione datane dalla difesa regionale, nel senso che l’Amministrazione non avrebbe fatto altro che ribadire e consacrare, anche in un proprio testo legislativo, quanto già previsto dalla legislazione statale, all’art. 32, comma 27, lettera d).
La pronuncia della Corte Costituzionale, sul punto, apre sicuramente a nuove prospettive interpretative ed applicative della disciplina condonistica, in ispecie sul versante degli effetti penali della sanatoria nelle aree assoggettate a vincolo paesistico.
Si è prima accennato all’orientamento decisamente restrittivo, in materia, della Corte di Cassazione che, anche in una recente decisione della Terza Sezione penale, n. 33297/05, Palazzi, depositata il 13 settembre 2005, ha avuto modo di ribadire che le << nuove costruzioni, realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici, non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell’art. 32, comma 26, lett. a), del decreto – legge n. 269 del 2003. Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetta ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo). In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003 si esprime nel senso che <<… è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano … quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici (…). Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale >> ( cfr., negli stessi sensi, anche Sez. III, 1.10.2004, n. 11593; 21.12.2004, n. 48954; 21.12.2004, n. 48956; 12.1.2005, n. 216 ).
In precedenza, sempre con riferimento ad abusi in zona vincolata, la stessa Corte di Cassazione aveva ritenuto << le opere realizzate non sanabili in forza di quanto disposto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del D.L. n. 269/2003, secondo cui “le opere abusive non sono, comunque, suscettibili di sanatoria qualora siano state realizzate su immobili soggetti ai vincoli… e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Nelle aree sottoposte ai vincoli anzidetti, solo nel caso di conformità agli strumenti urbanistici le opere abusive possono essere sanate, previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/1985, nella formulazione introdotta dal comma 43 dell’art. 32 del detto D.L.. Si applicano, pertanto, i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza 24.11.1999, n. 22 >>.
Riassumendo, secondo i Giudici della nomofilachia, nelle aree vincolate la nuova normativa in materia di condono troverebbe applicazione solo per gli interventi edilizi minori eseguiti senza titolo (tipologie 4, 5 e 6 riferite alle opere di restauro e risanamento conservativo e a quelle di manutenzione straordinaria, art. 32, comma 26 ) e sempre che gli stessi consistano in abusi formali e non anche sostanziali, ovvero in opere per le quali poteva essere regolarmente acquisito il titolo abilitativo preventivo perché conformi alla normativa urbanistica vigente (art. 32, comma 27, lettera d).
Per gli abusi maggiori, come le nuove costruzioni, la sanatoria straordinaria sarebbe inammissibile.
L’orientamento della Corte di Cassazione, nonostante l’autorevolezza propria della giurisdizione nomofilattica, non convince appieno, come sembra lasciar intendere, sia pure per via indiretta, il Giudice delle leggi nella sentenza n. 49, in cui si sottolinea – lo si ripete – in coerenza con la norma statale, che non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilità ma solo quelli di inedificabilità assoluta, tra i quali si segnalano i vincoli di rispetto cimiteriale, i vincoli di rispetto stradale, i vincoli idrogeologici e quelli relativi alle zone omogenee A, A1 ed F1 del P.R.G. sempre, però, che lo stesso risulti debitamente adottato, approvato e pubblicato e, pertanto, vigente.
Il rigetto della tesi sostenuta dalla Cassazione affonda le sue radici, a ben vedere, anche in altre ragioni, in gran parte ancorate ai precedenti insegnamenti della stessa Corte anche a Sezioni Unite (cfr, ex plurimis, Cass. SS.UU. n. 22 del 1999, già citata).
La fragilità delle argomentazioni addotte è da collegare, in primo luogo, al tentativo – mal riuscito – dei giudici di legittimità di porre sullo stesso piano gli effetti penali ed amministrativi del condono.
Ma, già con la sentenza n. 196 del 2004, la Corte Costituzionale aveva avvertito l’esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono << si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta, il che è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, con una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni >>.
Sempre nella sentenza n. 196 la Corte Costituzionale aveva rimarcato con maggior vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra effetti amministrativi ed effetti penali della sanatoria, precisando, altresì, come permanga anche con il nuovo condono edilizio la caratteristica fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in quanto l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37, del decreto – legge n. 269 del 2003).
Peraltro, ciò non esclude che, pagata interamente l’oblazione, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile – come gli artt. 38 e 44 – in virtù del richiamo operato dal comma 25 dell’art. 32 cit. agli interi capi IV e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all’oblazione versata le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro.
In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la speciale causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) può essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo.
A tali fini, come si è visto, persino il diniego di sanatoria della P.A. rappresenta un elemento neutro e del tutto inidoneo a determinare l’esclusione della operatività della causa estintiva, ricollegata – lo si ripete – al solo pagamento dell’oblazione in misura congrua secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985.
D’altronde, sempre sul versante amministrativo, la Cassazione non spiega perché nelle aree vincolate maggiormente “sensibili”, come quelle demaniali, sulle quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art. 32, comma 17) si sia accontentato di subordinare la disponibilità alla cessione dell’area al solo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perché rimuovibile ad opera della competente autorità, e non assoluto).
Né spiega perché il controverso comma 26 arrivi a ritagliare un’eccezione all’ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria per i soli abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale, omettendo di menzionarne altri.
La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte) le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere nuove senza titolo edilizio o in difformità, in contrasto con gli strumenti urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo o in difformità dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico – artistico ai quali si riferisce il comma 27, lettera e).
Che necessità avrebbe avuto il legislatore, ove la disposizione del comma 26 fosse effettivamente da interpretare nel senso che nelle aree vincolate sono sanabili solo gli interventi edilizi “minori”, di collegare agli abusi “maggiori” le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento nazionale, per giunta vincolati “in individuo” ?
E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in effetti è avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata dimostrazione della conformità delle opere alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l’insanabilità delle opere per le quali è stato richiesto il beneficio condonistico.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 49 sembra rafforzare – sul piano interpretativo – il convincimento di chi – come lo scrivente – ritiene che l’unico parametro normativo da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo sia rappresentato non già dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lett. d), del d.l. n. 269 del 2003.
La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26 ma, anzi, finisce per offrire una lettura più ampliativa dello stesso comma 27, lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di inedificabilità assoluta e non anche quelli di inedificabilità relativa possano essere considerati ostativi alla sanabilità.
In altre parole, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, le opere abusive potranno essere sanate laddove si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella formulazione introdotta dal comma 43 del decreto – legge n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la Soprintendenza territorialmente competente, il cui parere è vincolante).
Tale interpretazione è – tutto sommato – anche coerente con l’inciso contenuto nella norma (“fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47”) che deve essere così letto “come previsto dagli artt. 32 e 33”.
5. LE ALTRE NOVITA’ EMERSE DALLA SENTENZA N. 49 DEL 2006.
Sempre restando nell’ambito della sanatoria straordinaria, sul versante amministrativo, delle aree vincolate, va ricordato che il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva anche censurato l’art. 2 della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, ai sensi del quale << qualora i vincoli di cui al comma 4 e al comma 5 , lettera a), siano istituiti dopo l’entrata in vigore della presente legge, si applica quanto previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985. Si applica ugualmente l’art 32 della legge n. 47 dell’85 per la sanatoria delle opere di cui al comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici >>.
Secondo lo Stato ricorrente tale norma era da interpretare nel senso di attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della legge de qua << la forza di impedire la sanatoria straordinaria >>, per il che violava gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3 Cost., in quanto il principio di uguaglianza veniva << irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio; l’art. 97 Cost. ed i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione >>.
La Corte Costituzionale ha dichiarato infondate tali censure, ritenendo, al contrario, che la norma regionale disciplina semplicemente la sanatoria delle opere realizzate su aree sulle quali siano stati apposti, dopo l’entrata in vigore della legge regionale, i vincoli di inedificabiltà assoluta di cui all’art. 33 della legge n. 47 del 1985, ovvero i vincoli idrogeologici, ambientali e paesistici, relativi a parchi ed aree protette di cui all’art. 32 della medesima legge, subordinandola al parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo , in tal modo dando rilevanza anche ai vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell’intervento abusivo secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa.
La Corte ha anche precisato che, nell’ambito della speciale normazione relativa al condono edilizio straordinario, le regioni non possono rimuovere i limiti normativi fissati dal legislatore statale. E’ questo, ad esempio, il caso della legge della Regione Marche n. 23 del 2004 che, all’art. 3, nel determinare i limiti per il conseguimento della sanatoria amministrativa con disposizioni che in genere riducono le volumetrie massime, non ripete, però, tutti i limiti massimi determinati dal comma 25 dell’art 32 del decreto legge n. 269 del 2003 (30% della volumetria originaria della costruzione ampliata, 3000 metri cubi complessivi per le nuove costruzioni residenziali).
La disposizione censurata è stata, dunque, dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost..
Ciò anche perché – ha precisato la Corte – l’art. 3 della legge regionale, con riguardo all’ampliamento degli immobili non residenziali, determina il limite in relazione (non già al volume, ma) al diverso criterio della superficie realizzabile.
Pertanto, non ponendo alcun limite volumetrico, né richiamando le limitazioni del 30% e dei 750 metri cubi previsti, sia pure in via alternativa, dall’art. 32, comma 25, del decreto – legge n. 269 del 2003, la disposizione impugnata rende possibile, per gli immobili non residenziali, la realizzazione di ampliamenti superiori a quelli massimi previsti dalla normativa statale.
Analogamente, in tema di realizzazione di nuove costruzioni residenziali, la norma non pone alcuna limitazione alla volumetria complessiva della nuova costruzione, pur individuando limiti più rigorosi in relazione alla singola unità immobiliare ammessa a sanatoria.
In tal modo la disposizione censurata rende possibile che la nuova costruzione residenziale superi il limite complessivo di 3000 metri cubi stabilito dall’art 32, comma 25, del decreto – legge n. 269 del 2003 per tale tipologia di interventi.
6. IL RAFFRONTO CON LA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI N. 2699 DEL 2005 (SUL SUPERAMENTO DELLE VOLUMETRIE MASSIME E SULLO “SCORPORO” – DI DUBBIA COSTITUZIONALITA’ – DELLE OPERE ECCEDENTI I 3000 METRI CUBI).
Sempre con riguardo alle volumetrie massime, va segnalato che, con circolare del 7 dicembre 2005, n. 269, (in G.U. n. 52 del 3 marzo 2006), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel disciplinare << la materia di cui all’art. 32 della legge 24 novembre 2003, n. 326, nei limiti delle competenze dello Stato, fatte salve quelle regionali >>, ha precisato che << il legislatore (quanto all’ambito oggettivo della normativa condonistica) fa riferimento a due fattispecie:
a ) – ampliamenti: sono condonabili, indipendentemente dalla destinazione d’uso ( residenziale o non residenziale) le opere abusive ove non superino, alternativamente, i 750 metri cubi, ovvero il 30% della volumetria della costruzione originaria;
b ) – nuove costruzioni >>.
Per le nuove costruzioni residenziali, il comma 25 prevede che le suddette disposizioni si applichino alle opere abusive realizzate entro il 31 marzo 2003 e non superiori a 750 mc. per singola unità di titolo abilitativo in sanatoria, a condizione, tuttavia, che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 metri cubi.
In caso di superamento di quest’ultimo limite, pertanto, è preclusa ogni forma di sanatoria, salva la doverosa riconduzione al limite dei 3000 metri cubi, con demolizione delle opere eccedenti.
In questo caso, alla domanda di sanatoria deve essere allegato un atto d’obbligo, da parte dell’interessato, a demolire le parti eccedenti, appunto, i 3000 metri cubi.
Il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è condizionato all’effettiva esecuzione dell’attività demolitoria, che deve avvenire con le modalità indicate dalle norme relative al completamento delle opere abusive (art. 35, comma 14, della legge n. 47/1985).
La circolare in questione, nella parte in cui prevede la possibilità di scorporare mediante demolizione le opere eccedenti i 3000 metri cubi, afferma indubbiamente un principio che definire innovativo è poco.
La circolare finisce – di fatto – per ampliare il novero delle opere sanabili, introducendo una condizione (quella della demolizione delle parti eccedenti) che nemmeno la normativa vigente prevede.
Quest’ultima si limita, infatti, a fissare un tetto volumetrico massimo per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, tetto che non può superare i 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria purché la nuova costruzione non superi i 3000 metri cubi nel suo complesso.
La Corte Costituzionale, come affermato a chiare lettere nel caso della legge della Regione Marche, ha avvertito che tale limite non può essere in alcun modo superato, né è ipotizzabile uno “scorporo” delle parti eccedenti.
Affermare il contrario – d’altra parte – significherebbe che tutte le costruzioni da sanare non sono vincolate all’osservanza dei limiti quantitativi prescritti perché – ove questi risultassero in concreto superati – potrebbero essere pur sempre ricondotti in un secondo momento ai limiti c.d. legali.
Ma questo non è ammissibile in quanto il titolo abilitativo in sanatoria riflette l’abuso così come si presenta, ovvero nelle sue caratteristiche oggettive e nella sua attitudine intrinseca ad acquisire legittimazione ex post, senza che la sua efficacia sia rimessa all’attivazione dei destinatari e alla futura e potenziale modificazione dello stato dei luoghi attraverso eventuali interventi di demolizione parziale.
Pertanto, l’opera o rispetta o non rispetta i requisiti di legge, anche in ordine alla volumetria massima consentita.
Se tali requisiti difettano, non è prevista alcuna attività di tipo – per così dire – riparatrice ad opera del contravventore, il quale godrebbe, in definitiva, anche di discrezionalità nell’individuare le parti dell’edificio da rimuovere.
Tutto questo non sembra coerente con i principi costituzionali e le esigenze di certezza dei rapporti giuridici e, pertanto, ritengo che tale interpretazione “contra legem” non possa avere vita lunga né presso i giudici amministrativi, né presso i giudici penali che, per tale aspetto, ben potrebbero disapplicare la circolare del Ministero (cfr., sul punto, Cass. pen., Sez. Terza, 10 maggio – 27 settembre 2005, n. 34376, secondo cui << il rilascio del provvedimento sanante consegue ad un’attività vincolata della P.A., consistente nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all’Amministrazione medesima valutazioni discrezionali come quella di subordinare la sanatoria all’esecuzione, nell’immobile abusivo, di specifici interventi demolitori finalizzati, attraverso la riduzione della superficie e della volumetria, all’acquisizione mediata della conformità urbanistica >>).
7. LE ESIGENZE DI CASSA E I VINCOLI EUROPEI SULLA SPESA PUBBLICA NON CONDIZIONANO L’AUTONOMIA LEGISLATIVA DELLE REGIONI.
In conclusione, va anche evidenziato che, con la sentenza n. 49 del 2006, la Consulta ha respinto la tesi, più volte ribadita nelle memorie dell’Avvocatura, che una legislazione regionale che disciplini i profili amministrativi del condono edilizio non potrebbe comunque produrre indirettamente una riduzione significativa delle entrate erariali ed un conseguente squilibrio della complessiva finanza pubblica, la cui disciplina sarebbe di esclusiva competenza statale, ponendo quindi anche a rischio il rispetto, da parte delle istituzioni nazionali, dei vincoli europei sulla spesa pubblica. La Corte, nel motivare il rigetto delle relative censure, ha precisato che queste ultime prescindono da una adeguata ricostruzione sistematica del titolo V della seconda parte della Costituzione ed in particolare del livello di tutela costituzionale dell’autonomia legislativa regionale che ivi è presente.
I limiti a tale autonomia non possono che essere espressi, e ciò tanto più ove ci si riferisca ad effetti indiretti derivanti dall’uso che una regione faccia della propria discrezionalità legislativa (magari … addirittura con la finalità di contenere un’eccezionale forma di compressione della discrezionalità propria e degli enti locali nel settore del governo del territorio).
In altri termini, è del tutto evidente, secondo la Corte, che, allorché il legislatore regionale eserciti le proprie competenze legislative costituzionalmente riconosciute, non possa attribuirsi rilievo, ai fini dell’eventuale illegittimità costituzionale di tale intervento, agli effetti che solo in via indiretta ed accidentale dovessero derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato.